Arrivano i rinvii a giudizio scaturiti dall'operazione Matassa che lo scorso maggio ha fatto luce sulle presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività economiche e politiche della città dello Stretto. Per i due politici non scatta l'aggravante mafiosa, ma sono accusati di aver comprato voti in tre elezioni
Cosa Nostra a Messina, 44 andranno a processo Genovese e Rinaldi solo per corruzione elettorale
A poco più di un mese dalla notifica della chiusura indagini, si è conclusa dopo tre giorni con 44 rinvii a giudizio l’udienza preliminare dell’operazione Matassa, l’inchiesta della Procura di Messina sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nelle attività economiche e politiche della città dello Stretto, comprese alcune attività all’interno dello stadio San Filippo. Il prossimo 8 febbraio a processo, ma solo con l’accusa di corruzione elettorale, andranno anche il parlamentare Francantonio Genovese, ex Pd ormai Forza Italia, e il cognato, nonché deputato regionale che ha seguito la stessa parabola politica Franco Rinaldi. I due big politici sono coinvolti nella parte dell’inchiesta che si occupa delle ultime campagne elettorali per le elezioni regionali del 2012 e quelle politiche ed amministrative del 2013.
La gup Maria Vermiglio ha rinviato a giudizio gli indagati davanti alla seconda sezione penale del tribunale. Le accuse contestate dalla Procura a Genovese, Rinaldi, all’ex consigliere comunale Paolo David, a Baldassarre Giunti, Giuseppe e Cristina Picarella e all’imprenditore Paolo Siracusano, sono di associazione finalizzata alla corruzione elettorale. Come ricostruito nei mesi di indagine dagli investigatori della squadra mobile, attraverso un sistema clientelare gli indagati avrebbero «ostacolato il libero esercizio del diritto di voto agli elettori»nelle tre tornate elettorali a cavallo del 2012 e del 2013. In cambio agli elettori sarebbero state concesse somme di denaro – un voto sarebbe costato circa 50 euro – e buste della spesa. Un pacchetto di una decina di voti, inoltre, sarebbe stato scambiato con un’assunzione trimestrale in strutture compiacenti o con agevolazioni per il disbrigo di pratiche burocratiche.
Le accuse contestate a vario titolo per la parte dell’inchiesta che si occupa delle attività dei clan di Santa Lucia e di Camaro San Paolo, vanno dall’estorsione alla tentata estorsione, dalla detenzione di droga all’attribuzione di fittizia di beni, dal furto al riciclaggio. La Procura – rappresentata dalle sostitute della Direzione distrettuale antimafia di Messina Liliana Todaro e Maria Pellegrino – aveva chiesto il rinvio a giudizio per 50 indagati, ma sei sono stati ammessi al rito abbreviato e per loro è stata fissata un’altra udienza il prossimo dicembre.