Nel processo abbreviato sulle infiltrazione della mafia alla Fiera universale del 2015, il pubblico ministero ha chiesto oggi nove anni per Giuseppe Nastasi, originario di Castelvetrano. Sarebbe lui l'aggancio per far arricchire anche la famiglia del boss latitante grazie a una serie di subappalti ottenuti dal consorzio Dominus
Cosa nostra a Expo, le richieste di condanna del pm «Imprenditore interno a entourage di Messina Denaro»
Un imprenditore di Castelvetrano «intraneo all’entourage di Messina Denaro» e che avrebbe fatto affari a Expo. Si tratta di Giuseppe Nastasi, coinvolto nel luglio scorso nell’operazione Giotto della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Oggi il pubblico ministero Paolo Storari, al termine della requisitoria nel processo abbreviato, ha chiesto per lui una condanna a nove anni. La Procura ha chiesto altre sei condanne.
Nastasi, amministratore di fatto del consorzio Dominus, è accusato di riciclaggio e di associazione a delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa. Insieme a lui, anche il suo braccio destro, Liborio Pace, di Pietraperzia. Secondo l’accusa i due avrebbero fatto affari a Milano e una parte dei guadagni sarebbe andata ad arricchire Cosa Nostra siciliana, in particolare due famiglie: quella di Pietrparzia e quella di Castelvetrano e Partanna.
«Per Nastasi e Pace – scriveva il gip – ormai stabilmente radicati in territorio lombardo, senza più alcun interesse economico né una casa in Sicilia, non avrebbe avuto alcun senso nascondere il denaro in Sicilia, quasi come se tale luogo fosse uno di quei paradisi fiscali dove pure in parte sono transitate le somme da loro versate a seguito dell’emissione di fatture fittizie». Insomma, sostiene il gip, «l’unico significato» per quelle spedizioni di contanti in Sicilia è da collegare «ai bisogni dell’associazione mafiosa». E in questo contesto la Procura sottolinea come Nastasi sarebbe molto vicino al boss latitante, capo di Cosa Nostra.
A dimostrarlo, secondo il pm, una recente annotazione di polizia giudiziaria, depositata agli atti, dalla quale emerge, stando a quanto spiegato nella requisitoria, che Nastasi e Pace, prima di essere arrestati, si sarebbero recati a casa di un avvocato e là gli investigatori, attraverso una captazione ambientale, hanno registrato un colloquio nel quale i due avrebbero manifestato l’intenzione di fare entrare il professionista nella cerchia degli uomini vicini al capo di Cosa Nostra.
L’inchiesta ruota attorno a un consorzio di cooperative, Dominus Scarl, specializzato nell’allestimento di stand, che ha lavorato per la Fiera di Milano dalla quale ha ricevuto in subappalto l’incarico di realizzare alcuni padiglioni per Expo tra cui quello della Francia e e Guinea equatoriale. In particolare nel giro di tre anni – dal 2013 al 2015 – il consorzio di cooperative Dominus Scarl ha ricevuto 18 milioni di euro da una delle società controllate da Fiera Milano, la Nolostand, poi commissariata. E parte di quei soldi sarebbero finiti in Sicilia. Le società del consorzio, secondo gli investigatori, erano intestate a prestanomi, ma a godere dei ricavi sarebbe stato Nastasi, attraverso Pace, formale amministratore di Dominus Scarl. Per i lavori eseguiti a Expo, il consorzio avrebbe fatto ricorso a un sistema di fatture false per creare fondi neri. Soldi che sarebbero stati riciclati in Sicilia nelle attività del clan di Pietraperzia.
Oggi il pm ha chiesto anche altre sei condanne: 6 anni per Giuseppe Lombino, 5 anni per Francesco Zorzi, 4 anni per Calogero Nastasi, padre di Giuseppe, per Massimiliano Giardino e per Marius Peltea, 2 anni per Vasilica Onutu. Un’altra imputata, invece, Simona Mangoni, ha chiesto il patteggiamento. La sentenza arriverà il 3 febbraio, mentre Pace e altri tre imputati sono a processo con rito ordinario (Nastasi dovrebbe testimoniare in aula il 24 gennaio).