Cosa c’è dietro i sequestri di tonno tra Ognina e Acitrezza Omertà, multe pagate in contanti e possibile regia dei clan

È notte nel piccolo porticciolo di Ognina. Le tracce di movida nei bar e locali che guardano sul mare, tornati a riempirsi dopo la stretta del lockdown, sono scomparse. Su viale Artale Aragona passano poche auto. Tra chi non dorme ci sono i pescatori. Sul molo, per esempio, arriva un peschereccio, si ferma a ridosso della banchina. Un momento come tanti per chi vive di mare. Osservarla dalla strada, tuttavia, non è semplice, la visuale infatti è parzialmente ostruita da un furgone che si è piazzato proprio vicino all’imbarcazione. Sta pochi minuti, poi riparte. Di filato. Ma il viaggio dura pochissimo: i finanzieri della sezione navale intervengono per quello che potrebbe apparire un controllo di routine. Ma che si rivela molto di più. 

Di queste scene, nel giro di poche settimane, a Ognina se ne sono verificate diverse. E in una circostanza è cambiata soltanto la location: anziché il lungomare catanese, il porticciolo di Acitrezza. Ciò che invece non è mai variato è stata la scoperta all’interno dei mezzi: esemplari di tonno rosso privi di tracciabilità. Pesci che non si sarebbero mai dovuti trovare, per il semplice fatto che nessuno li avrebbe dovuti tirare a bordo. Il tonno rosso, infatti, è una specie sottoposta a un regime di quote nazionali, con autorizzazioni rigide su chi e quanto può pescare. Accanto a chi lavora nel rispetto delle regole c’è però un sottobosco di illegalità, dove più che singoli furbi si muove un sistema che lucra sulla vendita di contrabbando del tonno. Soltanto a giugno sono stati più di trenta gli esemplari sequestrati dalle Fiamme Gialle. In totale parliamo di oltre cinque tonnellate di pesce che, se non fosse stato intercettato, sarebbe finito sui banchi delle rivendite cittadine, nei mercati e, probabilmente, servito nei ristoranti dell’hinterland. Un fenomeno che, oltre a descrivere uno spaccato di illegalità, potenzialmente rappresenta anche una minaccia per la salute della popolazione: in più di una circostanza, infatti, il pesce è stato trovato in condizioni non idonee al consumo umano

A rispondere del sequestro sono stati in tutti i casi le persone a bordo dei furgoni. A loro sono state elevate le sanzioni amministrative. Multe prese senza reclamare più di tanto, ma soprattutto senza rivelare l’identità dei fornitori né tantomento dei destinatari finali dei tonni. Una reticenza che ha portato i militari a ipotizzare che a monte e a valle possa esserci la criminalità organizzata. D’altra parte, che il settore della pesca sul litorale ionico sia uno di quelli più infiltrato dai clan non è una novità: sono tante le inchieste in cui il controllo della filiera ittica è finita sotto la lente delle procure. Anche in questo caso dalle parti di piazza Verga il rapido susseguirsi dei sequestri di tonni rossi potrebbe avere destato l’attenzione dei magistrati guidati da Carmelo Zuccaro. Tra gli episodi che rafforzano il convincimento di una regia di alto livello c’è quello che riguardante il sequestro di alcuni esemplari che, dopo i controlli effettuati dal personale dell’Asp, sono stati dichiarati non salubri e per questo destinati alla distruzione. In questi casi la legge prevede che i costi dello smaltimento ricadano sul destinatario della sanzione. Un’incombenza che l’autista del furgone avrebbe assolto senza batter ciglio, tirando fuori dalla tasca oltre mille euro in contanti.

A essere stati sequestrati non sono stati soltanto tonni in uscita dai porti. In una circostanza il pesce si trovava già al Maas, il mercato agroalimentare di Catania. Come ci fosse arrivato, chi lo avesse pescato, è impossibile saperlo. Sempre al Maas, a fine maggio è stato fatto un altro sequestro: uno squalo Mako era esposto e pronto per essere messo alla vendita. In quel caso, chi lo aveva pescato – ufficialmente per errore – è stato rintracciato grazie alle immagini pubblicate sui social. Ma informazioni ci sarebbero anche in merito a chi quello squalo lo aveva comprato. L’esemplare, infatti, si trovava nel box di proprietà di una delle aziende più importanti della città nel settore della commercializzazione del pesce.

Simone Olivelli

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