L'ultimo numero della rivista oggetto dell'attentato di Parigi ieri era introvabile in città. Nella notte, però, un uomo ne ha lasciate alcune copie davanti all'edificio di culto di piazza Cutelli. «Non dobbiamo reagire alle provocazioni», afferma Kheit Abdelhafid, che esprime tuttavia dubbi sulla dinamica dell'attentato del 7 gennaio: «E' tutta una messinscena». Nel weekend preghiere e attività interreligiose per la pace
Copie di Charlie Hebdo davanti alla moschea di Catania L’imam: «Il gesto isolato di qualche deficiente»
Ieri, come oggi, già di buona mattina, il giornale Charlie Hebdo, uscito in Italia con il Fatto Quotidiano, era praticamente introvabile anche a Catania. Ma alla moschea di piazza Cutelli qualcuno nella notte di martedì ha pensato di recapitarne diverse copie. Le hanno trovate i responsabili della moschea davanti all’ingresso dell’edificio religioso ieri mattina presto. Una provocazione? «Un atto isolato, il gesto di qualche deficiente», è la prima reazione di Kheit Abdelhafid, imam della moschea catanese e presidente della Comunità islamica siciliana. Che, insieme alla comunità di Sant’Egidio e all’associazione Officine culturali, ha organizzato una serie di attività per la pace e interreligiose nel weekend.
Per fare chiarezza sulla dinamica di quanto accaduto nella notte tra martedì e mercoledì, alla moschea hanno visionato le telecamere di sorveglianza e hanno constatato che a lasciare la rivista satirica francese, oggetto dell’attentato terroristico lo scorso 7 gennaio e tornata nelle edicole di tutto il mondo ieri, è stato un uomo. Che avrebbe agito da solo e prima dell’alba. «La moschea è ben integrata nel cuore della città – spiega Abdelhafid – in questi anni abbiamo vissuto di tutto, qualche scritta negativa, ma tutti atti isolati, come penso sia quest’ultimo. L’appello che abbiamo fatto come Unione delle comunità islamiche italiane a tutti i centri di preghiera è di non reagire alle provocazioni. La Sicilia è un modello d’integrazione e di convivenza pacifica».
Con l’obiettivo di rafforzare questi valori, all’indomani degli attentati di Parigi, è partita l’idea di un weekend di attività interreligiose. I promotori sono la stessa moschea, la comunità di Sant’Egidio e l’associazione Officine culturali che si prende cura della promozione del monastero dei Benedettini. Tre giorni dedicati alla fraternità e alla pace. Si comincia venerdì pomeriggio: alle 14 si terranno due momenti di preghiera separati, nella chiesa di Santa Chiara in via Castello Ursino si riuniranno i cattolici e ci sarà un momento in cui verranno ricordati tutti i conflitti in corso nel mondo. Contemporaneamente nella moschea, durante la tradizionale preghiera del venerdì, si farà un’invocazione per la pace. Sabato le due comunità si sposteranno nella chiesa di San Niccolò L’Arena per un momento di preghiera comune alle 19. Infine, domenica alle 16, i bambini che frequentano la moschea e quelli della Scuola della pace di Sant’Egidio, giocheranno insieme al monastero dei Benedettini, grazie alle attività di Officine culturali.
«L’attentato di Parigi – spiega Emiliano Abramo, della comunità di Sant’Egidio – dimostra che le periferie sono vuote di proposte. Chi arriva con un’idea forte le conquista. Se a Parigi attecchisce il fondamentalismo, nelle periferie siciliane i ragazzi trovano la mafia. Ma non per questo pensiamo che tutti i cristiani sono mafiosi. Insieme, tutte le comunità religiose, devono contribuire a una città basata sulla convivenza pacifica».
Dall’imam Abdhelafid ferma condanna a ogni violenza e fondamentalismo. Ma anche alcuni dubbi sulla dinamica dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo. «Per me è tutta una messinscena – afferma – i fondamentalisti sono stati usati e dietro di loro non c’è solo integralismo islamico. La versione ufficiale, per come ci è stata raccontata, lascia tanti dubbi dall’inizio alla fine». Il presidente della comunità islamica si iscrive quindi nell’elenco di chi crede a un possibile complotto. «Quello che so – conclude – è che da questa vicenda ne esce vincitore il presidente Hollande, perché si è riusciti a deviare l’opinione pubblica da quello che accade in Francia, dal fallimento delle politiche sociali e dalla crisi».
(Ha collaborato Sanaz Alishahi)