È il punto definitivo della parabola giudiziaria dell’ex numero due del Sisde. Una conclusione che, secondo i giudici ermellini, sarebbe dovuta arrivare già nel 2015 con la sentenza della corte europea dei Diritti dell'uomo, la quale non lascerebbe spazio alcuno al giudice italiano
Contrada, motivazioni della sentenza della Cassazione «Decisione della Corte europea è obbligo indiscutibile»
«Una sentenza generica, imprecisa e indeterminata». Una pagina giudiziaria di un libro da chiudere e che non è possibile riaprire mai più. Sono dure le motivazioni con cui la corte di Cassazione il 6 luglio scorso ha dichiarato «ineseguibile e improduttiva di effetti penali» la decisione di condannare Bruno Contrada per concorso esterno alla mafia presa nel 2006 dalla corte d’Appello di Palermo. E non solo. I giudici ermellini vanno oltre, ripercorrendo tutta l’avventura giudiziaria dell’ex numero due del Sisde – che ha scontato dieci anni di reclusione – e in particolare la decisione della corte europea dei Diritti dell’uomo che nel 2015 si era già espressa sulla illegittimità della condanna nei confronti dell’agente segreto italiano. L’organismo non sarebbe stato scomodato per niente, secondo la Cassazione, essendo necessaria una tutela sovranazionale. Arrivata appunto con la sentenza europea che, sempre secondo i giudici romani, avrebbe dovuto pesare come un macigno, azzerando tutto quanto era stato fatto in Italia. Su questo è chiara la giudice Mariastefania Di Tomassi: «La decisione della Corte Edu – scrive nelle motivazioni – non richiede né lascia spazio per interventi residui del giudice italiano».
I fatti contestati all’ex numero due del Sisde si riferiscono a un arco temporale che va dal 1979 al 1988. Il primo passaggio giudiziario della vicenda, però, risale al 1996, quando il tribunale di Palermo condanna in primo grado Contrada a dieci anni di reclusione, per aver contribuito al perseguimento degli scopi illeciti di Cosa nostra. Il colpo di scena arriva con il giudizio di secondo grado: nel 2001 la corte d’Appello assolve l’ex funzionario perché il fatto non sussiste. L’assoluzione viene impugnata dalla Procura, che nel 2002 ottiene un annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio ad altra sezione. Tutto da rifare, insomma. Il secondo grado-bis si conclude nel 2006 e riconferma la sentenza di condanna, basandosi su prove vecchie e altre nuove nel frattempo raccolte. Contrada fa ricorso in Cassazione, che nel 2007 lo respinge. Da qui, l’alternativa rimasta è quella di rivolgersi alla Corte Edu, che nel 2015 condanna lo Stato italiano per aver, a sua volta, condannato Contrada per un reato divenuto chiaro e prevedibile solo dopo il periodo dei fatti a lui contestati.
Da questo momento i legali dell’uomo, gli avvocati Stefano Giordano e Vittorio Manes, attivano due distinti percorsi di tutela. Il primo prevede di rivolgersi alla corte d’Appello di Caltanissetta per un giudizio di revisione. Il secondo è quello dell’incidente di esecuzione davanti, ancora una volta, alla corte d’Appello di Palermo. Uno strumento, questo, che si utilizza in tutte le questioni insorte nella fase esecutiva, appunto, della sentenza ormai irrevocabile. Nel frattempo, però, Caltanissetta rigetta l’istanza di revisione, affermando che «la decisione della Corte Edu del 2015 non influiva sulle fonti di prova sulla base delle quali l’imputato era stato condannato». Al rigetto è seguito il ricorso di Contrada in Cassazione. In parallelo, si attiva l’incidente di esecuzione, concluso anch’esso col medesimo ricorso nel 2016, ultima sede in cui pretendere il rispetto della decisione europea: «Un obbligo che non può essere messo in discussione», si legge oggi nelle motivazioni della Cassazione.