«Se a Lampedusa avessimo messo mani e pensieri 25-30 anni fa, forse non saremmo arrivati a questo». Per dieci anni, tra il 2003 e il 2012 con il festival O’ Scià, il cantante Claudio Baglioni si è impegnato in prima persona sull’isola per sensibilizzare sulla questione dei migranti esplosa di nuovo in queste ultime settimane durante le quali si sono registrati sbarchi da record. «È una storia lunga 30 anni, ma non possiamo cambiare la geografia. Ora sono cavoli per tutti. Bisogna solo attrezzarsi a poter trovare una soluzione, senza che questi argomenti diventino – aggiunge il cantautore – ancora una volta materia per scopi elettorali, perché altrimenti non se ne viene fuori. Questa è una questione che tocca tutti, ma nessuno ha mai messo in atto una soluzione vera».
O’ Scià era per Lampedusa un appuntamento fisso che ha ottenuto riconoscimento e plauso anche fuori dai confini nazionali. Ora, però, dalle parole di Baglioni traspare amarezza. «Con quella rassegna abbiamo cercato di dire a un’opinione pubblica che era lontana che quelle cose accadevano già venti anni fa. Ma, alla fine, mi sono sentito sconfitto: i contributi bisognava faticarseli ogni anno e quella è stata un po’ una delusione perché pensavamo di avere costruito qualcosa di diverso e di importante, che andava oltre il torneo di bocce con il quale eravamo in gara per gli stessi fondi. Mi sono sentito sconfitto – lamenta – perché non è cambiato niente. E nel mondo non c’è solo Lampedusa perché le persone si muovono in cerca di situazioni migliori per la loro vita. Non possiamo condannare chi lo fa e non possiamo nemmeno condannare chi non ne può più. Come la guerra: vincono solo i potenti, il popolo coglione deve solo cercare di scansare la palla di cannone», conclude Baglioni.
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