Nella carte dell'inchiesta gli accordi legati ad armi e droga. Protagonisti i massimi rappresentanti delle cosche, decapitate durante l'ultima operazione antimafia della procura etnea. In mezzo la presunta intermediazione di un uomo legato alla 'ndrangheta
Città blindata, affari tra i clan di Biancavilla e Paternò «Ho venduto mitragliatori e bombe per diecimila euro»
Un patto di non belligeranza nel nome degli affari. Da un lato il clan Assinnata di Paternò e dall’altro i Tomasello-Mazzaglia-Toscano di Biancavilla. Il dettaglio emerge dalle carte dell’inchiesta Città blindata, che nei giorni scorsi ha portato alla notifica di 16 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Dietro alla collaborazione ci sarebbero gli affari legati all’acquisto di droga e armi. Settori che avrebbero visto protagonista anche Domenico Assinnata junior. Erede designato della dinastia mafiosa di Paternò guidata dal padre Salvatore e poi clamorosamente passato dal lato della giustizia.
Una serie di intercettazioni, risalenti all’estate 2014, hanno documentato l’esistenza di pacifici rapporti tra i due clan. A parlare Giuseppe Amoroso, detto l’avvocato, e Assinnata. Quest’ultimo, ai magistrati, racconta di avere temuto per la propria vita. In particolare dopo l’omicidio del boss Turi Leanza, avvenuto a Paternò nel giugno del 2014. Proprio in quel contesto Assinnata avrebbe chiesto aiuto al clan di Biancavilla. «Amoroso si mise a disposizione – racconta in un verbale finito agli atti dell’inchiesta – facendo venire a Paternò, per proteggermi, due suoi uomini. Tali Gregorio (Gangi, ndr) e l’altro (poi identificato in Vincenzo Panebianco, ndr) di cui non ricordo il nome». I due, stando al racconto del pentito, si sarebbero recati nella cittadina pedemontana con due pistole. Fermandosi per circa una settimana.
In mezzo ci sarebbero gli affari della droga e un presunto debito con un fornitore calabrese di cocaina, legato alla famiglia della provincia di Vibo Valentia. Come messo nero su bianco dagli inquirenti in alcuni dialoghi intercettati. «Ti voglio dire una cosa Pippo – diceva Assinnata ad Amoroso – se tu mi aiuti ora che mi devo chiudere questo debito grosso col calabrese (Rocco Anello, ndr) e tu ancora questo cosa ce l’hai, in un modo o in un altro modo io te lo faccio uscire anche a due euro, ti faccio guadagnare a te». Amoroso, dal canto suo, si diceva «non interessato». Ma Assinnata insisteva: «Però ora mi serve una mano fratello… E me la devi dare!»
Successivamente Pippo Amoroso avrebbe mostrato dì avere una profonda conoscenza del mercato degli stupefacenti chiedendo allo stesso Assinnata di non pagare la droga alla consegna ma soltanto in un secondo momento. «Le due consorterie agivano in perfetta sinergia – si legge nell’ordinanza – stabilendo i prezzi da praticare e scambiandosi notizie in merito alle modalità con le quali gestivano le rispettive piazze di spaccio che trattavano non solo cocaina ma anche hashish». Affari tra i due clan anche nelle cessione di armi.«In quell’occasione Amoroso mi chiese delle armi – spiega ai magistrati il collaboratore – e io chiesi della cocaina, che poi Amoroso mi fece consegnare da tale Gregorio. Amoroso aveva bisogno di armi tipo kalashnikov, uzi e bombe che io gli consegnai dopo che io le ricevetti da Rocco Anello. Amoroso per le armi che gli consegnai mi diede circa diecimila euro che io poi diedi ad Anello».