Sul caso la giudice Loredana Pezzino potrebbe esprimersi l'1 giugno. Per l'imprenditore, accusato di aver favorito la mafia, ha preso la parola la sua avvocata ed ex parlamentare di Alleanza nazionale che ha messo in dubbio le parole dei collaboratori di giustizia della famiglia mafiosa Santapaola
Ciancio, rinviata la decisione sul concorso esterno Bongiorno: «Accuse pentiti? Soltanto pettegolezzi»
L’attesa, il rinvio e la decisione che forse potrebbe arrivare a giugno. Sono i tre punti salienti dell’ultima udienza, in fase preliminare e a porte chiuse, del processo a carico di Mario Ciancio Sanfilippo. L’editore, imprenditore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia prima di passare il testimone al figlio Domenico, è accusato dalla procura di Catania di concorso esterno in associazione mafiosa. Per oggi, dopo la conclusione dell’arringa difensiva, si vociferava potesse arrivare anche la possibile decisione della giudice per l’udienza preliminare Loredana Pezzino, ma prima bisognerà aspettare le repliche. E il termine potrebbe slittare ancora, qualora Bongiorno decidesse di chiedere alla giudice di attendere le motivazioni che hanno recentemente assolto in Appello dalla stessa accusa l’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo: un caso nel quale compare anche il nome di Ciancio.
A monopolizzare la scena è stata l’avvocata palermitana Giulia Bongiorno che, insieme al penalista etneo Carmelo Peluso, difende l’editore monopolista. L’ex deputata di Alleanza nazionale ha ripercorso in aula alcuni passaggi chiave dell’ accusa, soffermandosi in particolare sui collaboratori di giustizia. «Ho esaminato la posizione dei pentiti, tutti vicini ai Santapaola – spiega a margine dell’udienza, dopo un’arringa durata quasi due ore -. Avrebbero dovuto mettere nero su bianco i rapporti tra la mafia e Ciancio ma in realtà nessuno di loro ha fatto cenno a fatti specifici. Si tratta solo di vaghe dichiarazioni». Bongiorno poco dopo rincara la dose: «Un rinvio a giudizio non sarebbe corretto e dilaterebbe ulteriormente la sofferenza di Ciancio e non porterebbe a nulla. Un pettegolezzo generico di un collaboratore di giustizia è soltanto una non prova».
L’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria che riguarda il potente editore etneo è iniziato a metà gennaio. Ma l’ex direttore del quotidiano La Sicilia nelle aule del tribunale di piazza Giovanni Verga non si è mai visto. Al suo posto hanno sempre preso la parola i suoi legali: da un lato il catanese Carmelo Peluso, dall’altro Francesco Colotti, dello studio legale Bongiorno. Che oggi per la prima volta è arrivata in aula.
Prima di Pezzino, sull’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa all’imprenditore si era già espressa la togata Gaetana Bernabò Di Stefano. La giudice che a pochi giorni dal Natale 2015 aveva prosciolto Ciancio. Nelle motivazioni, depositate in cancelleria alcuni mesi dopo, veniva messa in discussione anche l’esistenza del reato stesso, tra errori e punti oscuri. Posizione non condivisa dal capo dell’ufficio gip di Catania, Nunzio Sarpietro, che ha pubblicamente criticato la scelta della collega affermando, senza giri di parole, che quella di Bernabò Di Stefano era una sua valutazione personale non condivisa dai colleghi di piazza Giovanni Verga.
Di fatto a ribaltare tutto è stata la corte di Cassazione. Dopo il ricorso della procura di Catania e di Goffredo D’Antona, avvocato che si occupa della posizione dei fratelli Gerlando e Dario Montana. Entrambi costituitisi parti civili per il fratello Beppe, commissario di polizia vittima della mafia a cui Ciancio negò la pubblicazione di un necrologio sul suo quotidiano. I giudici ermellini annullano a settembre 2016 con rinvio alla fase preliminare da assegnare a un nuovo togato, riaprendo di fatto il caso.