Cercasi principe azzurro bello, ricco e onesto Il Calcio Catania e la scarpina di Pulvirentola

E insomma, a quanto pare, abbiamo capito come va la storia. C’è una fanciulla da maritare: una fanciulla modesta e timida, in verità. Tant’è vero che in giro la si vede sempre un po’ sporca di cenere; tant’è vero che fuori di casa gira spesso con un vestitino mimetico del colore della sciara; e tant’è vero che, soprattutto, non c’è modo di sapere a quanto ammonti la sua dote. Eppure, così malconcia com’è, la fanciulla il suo sogno non lo nasconde. Non vuole uno sposo, vuole di più: cerca un Principe Azzurro. Ricco, anzitutto, questo è certo: «in possesso di credenziali e capacità economico-finanziarie». Ma anche d’animo nobile e puro; dotato insomma di quelle doti «morali» indispensabili a regalarle un futuro radioso. A garantirle, in altre parole, «la conservazione e il rilancio».

È una bella fiaba, non c’è dubbio. Perché ci ricorda come, oltre la prosa del denaro, la vita sia fatta di valori morali. Perché fa venire in mente zucche e carrozze, topini e cavalli, miserie e nobiltà. Peccato che tanta gente ci trovi da ridire. Per esempio insinuando che le parole «credenziali morali» stonino un po’ sull’annuncio matrimoniale della giovane Pulvirentola (dimenticavo: è così che si chiama la ragazza). Suggerendo che cose del genere, da quel pulpito, non si possano proprio predicare. Aggiungendo che non riuscirebbe mai, Pulvirentola, a calzare la scarpina di cristallo senza cui, per la fiaba, non potrebbe esserci un lieto fine. Insinuando il sospetto che, alla prova dei fatti, in luogo del minuscolo piedino d’ordinanza, possa spuntar fuori la zampaccia della signorina Anastasia o di madamigella Genoveffa. E dicendo pure di peggio: perché c’è pure chi si diverte a mischiare le fiabe e a trasportarci (in treno o in aereo, non so) in mezzo ai boschi della Svizzera. Dove si favoleggia che Pulvirentola sia stata sorpresa – mal travisata da un cappuccetto rosso – con in mano il cestino della merenda. Il cui doppiofondo celava, però, più o meno un milione di euro.

Le fiabe si confondono, intorno ai focolari di questo gelido marzo. Come si sono confuse fin troppo, dietro il rosso e l’azzurro del nostro calcio, le storie di giustizia e di finanza che l’ultima settimana ci ha raccontato. Con la magistratura che ha sequestrato in Svizzera i soldi dell’ex presidente del Catania, poche settimane dopo avergli restituito gran parte di quelli già sequestrati qualche tempo prima. Con la nuova dirigenza di Finaria che – in luogo della società Calcio Catania – distribuiva intanto l’ennesimo bollettino sulla prossima vendita della società. E con i poveri giocatori del Catania, da parte loro, obbligati a concentrarsi sulla partita della domenica come se nulla stesse accadendo. Giocandola pure con impegno questa partita, va detto. Ma senza cavarne nulla più di un pareggio in casa contro la Juve Stabia. Che rimanda ancora in avanti la speranza di un finale lieto, o come minimo un po’ meno triste della storia fin qui raccontata.

Che non ci sia spazio, in questo finale, né per principi azzurri né per lezioni di moralità, questo lo sappiamo tutti. Le fiabe del resto, se lette a una certa età, servono soprattutto a svegliare la nostalgia. Come fa oggi la fiaba che, sei anni fa di questi giorni – era il 12 marzo 2010 – si dipanava sotto i nostri occhi increduli, sul prato bagnato del Massimino. Quale fiaba? Ma lo sapete tutti: quella del cucchiaiaio matto.

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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