Caso Saguto, lo sfogo dell’ex prefetta Cannizzo «Era depressa e io le ero sinceramente vicina»

«Ho frequentato Silvana Saguto per due anni e per come l’ho conosciuta io posso dire di non aver mai avuto sentore di interessi secondari da parte sua». A sentirla parlare oggi, Francesca Cannizzo, sembra che la stima nutrita un tempo nei confronti dell’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo sia rimasta immutata. Cannizzo, in passato prefetta del capoluogo siciliano, è tra gli imputati del processo sulla presunta gestione illecita dei beni confiscati che si celebra a Caltanissetta e deve rispondere di concorso in concussione con Silvana Saguto. Per l’accusa entrambe si sarebbero occupate della sistemazione del nipote di un amico di Francesca Cannizzo, con un compenso netto non inferiore ai 2.500 euro mensili. Si tratta di Richard Scammacca, ritenuto il «fioglioccio della prefetta».

Saguto, abusando del suo ruolo, avrebbe strumentalizzato la sua posizione di preminenza ricoperta rispetto ad Alessandro Scimeca, che all’epoca rivestiva l’incarico di amministratore giudiziario nella procedura Lena – il cui compendio patrimoniale includeva anche l’Abbazia Sant’Anastasia a Castelbuono, relais e cantina di vini -, e in concorso con Francesca Cannizzo, che dal canto suo chiedeva all’ex giudice di sistemare il nipote dell’amico ed ex collega Stefano Scammacca, concordavano entrambe lo stipendio mensile che avrebbe percepito presso l’Abbazia Sant’Anastasia. Secondo l’accusa, Saguto avrebbe cercato, con questa assunzione, di ben predisporre Stefano Scammacca, «amico di lunga data del consigliere del Consiglio di giustizia amministrativa Regione Sicilia Giuseppe Barone, membro del collegio che il 18 marzo 2015 aveva preso in decisione il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tar che aveva accolto il ricorso di Cappellano Seminara per ottenere la liquidazione del compenso finale di 5.100.000 euro (liquidazione disposta il 30 settembre 2011 dal tribunale di Palermo, a firma di Silvana Saguto) per l’attività di amministrazione giudiziaria nella procedura a carico dei fratelli Sansone, con pressioni e modi bruschi e stressanti – per citare le carte dell’indagine – preordinati a “non lasciargli chances”».

Di quella vicenda, però, la ricostruzione riferita oggi dalla stessa Cannizzo appare ben diversa. «Non sono la madrina di Richard Scammacca – ripete a più riprese davanti ai giudici di Caltanissetta, ai quali ha chiesto di poter fare delle dichiarazioni spontanee -. Non l’ho né battezzato né cresimato, non so nemmeno se li ha questi sacramenti. Io l’ho conosciuto per quel lavoro che mi ha permesso di girare molto e di cui Palermo è stata l’ultima tappa dopo 15 anni di sedi sparse in tutta Italia». Nessun rapporto tra loro, nessun tipo di frequentazione insomma. «Il mio ruolo si è limitato a dare delle indicazioni, spettava ad altri il dovere di valutare competenza ed eventuale permanenza di questa persona», spiega. È fine agosto 2014, Silvana Saguto le avrebbe accennato alla possibilità di questo incarico di lavoro per Scammacca presso l’Abbazia Sant’Anastasia. «Dentro di me non era proprio adatta come proposta, perché Castelbuono dista circa 100 km da Palermo, per percorrerla si passa da un tratto a pagamento, pensavo “che convenienza c’è?”, ma non era comunque una valutazione che avrei dovuto fare io».

«Perché, per compiacere qualcuno, avrei dovuto considerare una possibilità lavorativa meno vantaggiosa? – domanda oggi l’ex prefetta in aula -. Se uno ha interesse a compiacere qualcuno gli dovrebbe presentare una posizione molto vantaggiosa, è una considerazione logica. Io non ho mai chiesto l’assunzione di Scammacca a Sant’Anastasia e non ho mai contrattato sul su compenso. Se davvero questa persona mi fosse stata a cuore, perché avrei dovuto concordare un prezzo più basso di quello che prevedeva quell’incarico considerando che ci sarebbero state anche delle ulteriori spese?». All’epoca non può nemmeno immaginare che quell’episodio la trascinerà di forza nell’indagine sul presunto cerchio magico attribuito a Silvana Saguto e ai suoi presunti complici. «Seppi di essere indagata solo mesi dopo dall’atto di prosecuzione delle indagini che avevo ricevuto: concussione in concorso con la dottoressa Saguto, senza conoscere l’addebito in concreto di questo reato per cui ero indagata – racconta oggi -. Da quel minuto e fino a quando poi non ho conosciuto i fatti, per mesi non sono stata in grado di ricostruire minimamente quale situazione, quale comportamento, quale fatto avesse potuto originare indagini nei miei confronti».

«Ricostruendo i rapporti con lei – continua Cannizzo – non riuscivo ad avere nessun tipo di riscontro e, mi pesa ancora, la notizia di rinvio a giudizio fu la più inaspettata della mia vita e non ha avuto ripercussioni positive sulla mia carriera». Insomma, a sentire i ricordi e le ricostruzioni raccontate oggi a processo, Francesca Cannizzo scopriva solo dagli atti dell’indagine che tutto, o almeno buona parte, ruotava attorno alla figura di Richard Scammacca, «per un’ipotesi di colloquio, di questo parliamo – sottolinea -. Non si evince da nessuna intercettazione, da nessuna telefonata che Scimeca avesse promesso la sua assunzione. Io non ho mai frequentato Silvana Saguto per fare avere a lui un lavoro, non c’era alcun rapporto di affezione tra noi». Rapporto che, invece, sarebbe maturato nel tempo tra lei e l’ex presidente delle Misure di prevenzione. «Io continuavo a essere sola a Palermo, ma non c’erano condizioni per cui potessi allontanarmi, quello fu un periodo di grandi sbarchi – spiega -. Quindi la vicinanza di una mia coetanea e di una persona che abitava a un tiro di schioppo da me mi sembrava un regalo, per lei avevo sentimenti sinceri di solidarietà e vicinanza».

Intensificati ulteriormente dopo aver saputo, all’epoca, che esisteva un piano per uccidere alcuni magistrati, uno dei quali era proprio Silvana Saguto. Notizia che «fu valutata degna di attenzione dal Comitato di sicurezza, per questo furono adottati degli accorgimenti tecnici, sia con riferimento all’autovettura che alla sua abitazione, che all’epoca non erano stati adottati nemmeno per quei magistrati che a Palermo avevano un livello (di rischio ndr) ben superiore a quello della dottoressa Saguto». Ad avvisarla di quel progetto omicidiario nei suoi confronti, però, non è Francesca Cannizzo, ma il procuratore generale. «Di fronte a questa notizia presi ulteriormente in considerazione la posizione di questa persona – dice ancora l’ex prefetta -. Poco dopo fu resa pubblica dagli organi di stampa, circostanza che aumentò la mia preoccupazione nei suoi confronti, per me che lo sapessero tutti era un fatto grave, quindi ancor di più lei aveva la mia attenzione e la mia solidarietà». Un’affezione, quella di Francesca Cannizzo per Silvana Saguto, che sembra ricambiata. L’ex giudice infatti la contatta frequentemente «per condividere l’amarezza per gli attacchi mediatici, le preoccupazioni per la sua sicurezza e per le sue condizioni di salute. Mi confidava di essere depressa per tutta questa situazione. Questo e soltanto questo mi spingeva ad esserle sinceramente vicina».

Ed è per queste ragioni, soprattutto, che a suo dire le avrebbe proposto di festeggiare i suoi 60 anni a villa Paino, «fuori da questo contesto mai mi sarebbe venuta in mente questa idea», dice oggi. I loro rapporti si interrompono bruscamente poco dopo, quando la notizia del progetto per uccidere l’ex giudice diventa di dominio pubblico e un articolo di stampa in particolare punta il dito contro l’ex prefetta e quelle misure di protezione così intense decise per tutelare Silvana Saguto, gettando un velo di ambiguità sulle reali motivazioni dietro quella decisione. «Le dissi di interrompere i nostri rapporti dopo un articolo che diceva che avevo rafforzato le misure di sicurezza per lei abusando del mio potere, perché eravamo amiche – spiega -. Io ho sempre avuto l’assoluta certezza che mi stavo confrontando con una persona che per esperienza e diffusa stima mi avrebbe consigliata nel migliore dei modi. Io mettevo in gioco la mia reputazione e il mio futuro professionale, non si può dubitare che fossi certa di rivolgermi a una persona che mi avrebbe consigliato nel migliore dei modi possibili».


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