Casa famiglia, blitz con undici agenti per una tettoia «Ma le minacce che subiamo restano senza risposta»

Sergio Pennisi Carmela Comes hanno 53 anni. Insieme ai figli vivono a Biancavilla, in una casa che negli anni è diventata un punto fermo per chi scappa da qualcosa. Come bambini e donne vittime di violenze. Casa di Maria è anche il luogo di ritrovo per volontari, italiani e non solo. Una vita dedicata agli altri, ma non sempre facile. Le istituzioni tardano a pagare i contributi per i minori ospitati come famiglia affidataria. Poi ci sono i finanziamenti regionali per fare turismo rurale. Un ristorante e il servizio catering coprono il resto delle spese. «Profit e no profit si aiutano a vicenda», racconta Sergio Pennisi. Alla Casa di Maria le forze dell’ordine sono sempre di passaggio per accompagnare alcuni ospiti della struttura. Ma mai i titolari si sarebbero aspettati di veder piombare undici agenti per una semplice denuncia di difformità edilizie per una tettoia, conclusa con una sanzione da 860 euro. Denuncia presentata da alcuni vicini di casa. Gli stessi nei cui confronti i coniugi Pennisi-Comes hanno sporto diverse denunce per minacce, incendi e atti osceni davanti ai minori. Senza però ottenere nessuna risposta.

La scelta di vita della coppia nasce  nel 2009. «Abbiamo venduto la casa di Carmela a Cibali, a Catania, e ritirato le nostre assicurazioni sulla vita per comprare questo posto», racconta il marito. In contrada Abate Vitale vivono e lavorano insieme ai loro quattro figli. Insieme si occupano di ogni sfera del sociale. Dai progetti di volontariato, anche internazionale, alla pulizia e alla cura dell’ambiente. C’è poi il banco alimentare, la collaborazione con il centro antiviolenza Thamaia e quella con Libera contro le mafie. «Collaboriamo anche con alcune case produttrici di giocattoli – spiega Sergio – Loro ci inviano quelli rotti e i ragazzi del nostro laboratorio di riuso li sistemano in cambio di offerte». Ma, soprattutto, c’è l’attività di famiglia affidataria, non ancora casa famiglia.

Ricevono un contributo di 400 euro mensili a bambino – contro i più di duemila delle case famiglia – «che il Comune non ci paga da 15 mesi – racconta Sergio Pennisi – In questi anni abbiamo fatto risparmiare alle casse pubbliche più di 400mila euro». Al momento, a essere ospitati sono sei minori, tra cui alcune ragazze originarie della Nigeria e in passato costrette a prostituirsi. Ma non tutto il lavoro – per lo più volontario – di Sergio e Carmela viene ricambiato col bene: «Da diversi anni subiamo richieste di denaro, ci hanno anche bruciato la campagna, ma noi abbiamo sempre denunciato – racconta il marito – E poi c’è tutta la serie di mancanze delle istituzioni che si dimenticano di chi lavora e fa del volontariato». Come per le denunce di tutte le minacce e le violenze subite, anche dai vicini di casa: Giuseppe, Salvatore e Placido Borzì.

«Non hanno ancora ricevuto riposta – racconta l’avvocato della famiglia, Goffredo D’Antona – Un giorno invece uno dei denunciati va presso la Polizia forestale e denuncia delle difformità edilizie nel terreno dell’associazione». Pochi giorni dopo, scatta il blitz alla Casa di Maria. Arrivano «undici agenti operanti, tra i quali un vice questore e un commissario della polizia forestale, e un commissario e un ispettore della polizia municipale del Comune di Biancavilla», continua il legale. A seguire, il Comune notifica l’ordinanza di demolizione di «lavori secondo loro non conformi». Una disparità di trattamento che ha spinto i responsabili della Casa di Maria a presentare un esposto alla Procura di Catania. «Per capire se gli atti, sicuramente solerti, della polizia forestale e del Comune siano dovuti a un trattamento di favore nei confronti del più volte denunziato, o se sia una procedura normale», spiega il legale. La voce di Sergio Pennisi, calma e orgogliosa quando racconta del lavoro della sua famiglia e dei suoi ospiti, si vena di amarezza appena si parla del blitz. «Tutto questo a noi fa male», conclude.

Aggiornamento:
Il 19 novembre 2020, Giuseppe e Placido Borzì sono stati assolti dal tribunale di Catania perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, per il capo a; perché il fatto non sussiste per il capo b.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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