Cartoline (o le lacrime di Marco)

È buona cosa, prima d’una partenza, scegliere e imbucare qualche cartolina. Lasciamo un posto in cui ci siamo trovati bene. Vorremmo tornarci, ma non sappiamo quando potremo. Così, con la scusa di regalarne un pezzetto ai nostri amici, eccoci a scorrerne, come su un espositore girevole, le immagini migliori, quelle che anche noi vorremmo portarci appresso. Non possiamo guardarle tutte, non c’è tempo. Quindi ne scegliamo otto. Otto, quanti gli anni della serie A che stiamo lasciando.

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La prima cartolina è la più facile da indovinare: si comincia sempre dal Colosseo. Il nostro Colosseo è, senz’ombra di dubbio, un gol di Mascara. Siamo allo stadio della Favorita di Palermo. È lì che è stato costruito il monumento. Costruito nel giro di tre secondi: quelli che sono stati necessari a Mascara per tirare da centrocampo; al pallone per percorrere un’ampia traiettoria parabolica – equivalente in linea d’aria a quasi cinquanta metri – e quindi andare a infilarsi nella porta del Palermo; e al portiere del Palermo, Amelia, per ruzzolare ingloriosamente in fondo alla propria rete. Ma anche quelli che sono stati a noi necessari per maledire l’assurda presunzione di quel tiro impossibile; per osservare con disincanto la suddetta parabola; per cominciare a stupirci dell’esattezza con cui era stata disegnata; e per renderci infine conto – non prima che la palla, sbattendo in fondo alla rete, rimbalzasse verso il campo tra la nostra ebbra incredulità e quella, sgomenta, dei tifosi rosanero – che avevamo appena vissuto, proprio in quei tre secondi, il gol più bello della nostra vita. Perché quello era un derby, Palermo-Catania. E quel derby sarebbe finito 4 a 0 per noi.

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Anche nella seconda cartolina c’è Mascara. E se questo non è il Colosseo, direi almeno che vale una piazza San Pietro. È il 12 marzo 2010. La foto ritrae Peppe nel momento preciso in cui sta calciando il rigore che porterà il Catania in vantaggio sull’imbattibile Inter di Mourinho. È un rigore che tutti ricordano benissimo, e a chi non lo ricorda basterà osservare con quanta lentezza si è alzata la palla appena calciata da Mascara, diretta beffardamente al centro della porta, mentre già il portiere Julio Cesar ha cominciato stoltamente a distendersi sulla propria destra. Su questo rigore, il Catania costruirà una delle vittorie più memorabili della sua storia. Perciò, se per caso a Catania vi capita di dire la parola “cucchiaio”, state parlando di questo rigore. Che lo sappiate o no.

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Anche nella terza cartolina c’è l’Inter. Ma stavolta non abbiamo vinto noi. I nerazzurri guidati da Roberto Mancini ci hanno battuti a casa nostra. La stampigliatura sul retro ci ricorda che è l’11 febbraio 2008. Nella cartolina c’è solo la faccia di un arbitro. Non sembra molto contento. È il signor Stefano Farina. Noi, che siamo tifosi rossazzurri, abbiamo tutte le ragioni per pensare ogni male di lui. Un anno prima, Farina ci aveva fatto perdere in casa il derby col Palermo, convalidando ai nostri avversari un gol in fuorigioco e un altro segnato con le mani. Ma siccome, purtroppo, quel 2 febbraio 2007 successe ben altro, nessuno, come è giusto, ci pensa più. Anche stasera però Farina si è messo a suonare la stessa musica. E ci ha fatto perdere pure la partita con l’Inter, convalidando anche stavolta un gol completamente irregolare di Cambiasso e fischiando un centinaio di falli inesistenti in favore dei potenti nerazzurri. Stavolta il signor Farina però si è giocato la faccia. Perché il pubblico di Catania lo ha sputtanato davanti al mondo mettendosi a fare, in un delirio d’ironia, il tifo per lui, dedicandogli cori e ovazioni manco fosse Maradona, applaudendo ogni sua bizzarra decisione, cantando osanna a ogni sua genuflessione dinanzi alla legge del più forte. Tutti hanno visto, tutti hanno riso, tutti hanno potuto giudicare.

Perciò il signor Farina si è offeso tantissimo: non perché sia stato insultato – questo, ogni arbitro se l’aspetta – ma perché è stato preso per il culo. E perché dovrá pur sapere, in coscienza sua, che se tutti ora ridono di lui una ragione ci sarà. Perciò se ne va dal campo tutto offeso, con un broncio così, senza nemmeno dare la mano ai giocatori. Il mondo del calcio, ora si dirà, è pieno di arbitri peggiori del signor Farina, di arbitri cornuti della peggior specie. Vero. Ma in genere questi arbitri sono cornuti e contenti: escono dal campo, infatti, con l’intima soddisfazione di aver compiuto la loro missione. Stavolta invece l’arbitro se ne va scornato e scontento. Siamo molto più contenti noi che abbiamo perso. Perso ingiustamente, ancora una volta, e per colpa sua. Ma stavolta gli facciamo pagare il conto. Senza farla tragica, anzi. Con un’arma, la risata, che più potente non ce n’è.

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Un’altra cartolina, e anche qui ci sono gli arbitri. L’immagine parla da sé. Questo è il gol segnato da Bergessio l’anno scorso, al Massimino, contro la Juventus. A terra c’è il portiere battuto, Buffon. Sullo sfondo – particolare della massima importanza – c’è un guardalinee che corre verso il centrocampo, come si fa quando si convalida un gol. Che in questo caso è un gol regolarissimo. Pochi istanti dopo, accadrà ciò che forse non è mai accaduto su un campo di serie A. I giocatori della panchina bianconera assedieranno quel guardalinee – che si chiama Luca Maggiani, e non è precisamente al di sopra dei sospetti quanto a imparzialità – e lo convinceranno ad annullare il gol che aveva già convalidato. Una sequenza indecente, una svergognata messa in scena dell’arroganza del potere. Poco dopo, lo stesso guardalinee porterà a termine la sua missione convalidando un gol irregolare di Vidal, così capovolgendo il risultato della partita.

Strano però: questa cartolina è già affrancata e c’è pure il timbro postale. È un timbro irlandese. È in Irlanda, infatti, che ha sede la società di scommesse Paddy Power. La quale, di fronte a questo scandalo, ha preso una decisione anch’essa senza precedenti: pagherà lo stesso gli scommettitori che hanno puntato sulla vittoria del Catania. Perché gli arbitri possono sbagliare, certo, ma c’è un limite oltre il quale la buonafede diventa una barzelletta. E i britannici, si sa, hanno un forte sense of humour.

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Ma basta arbitri, adesso. Nella quinta cartolina c’è un ragazzo giovanissimo. Porta pure l’apparecchio ai denti. È il giapponese Takayuki Morimoto, e nella foto sembra disperato. Invece è felice, felice come forse non è mai stato. Sta giocando i suoi primi sette minuti in serie A a Bergamo, sul campo dell’Atalanta. E poco dopo essere entrato in campo ha già segnato, ha regalato alla propria squadra un pareggio ormai insperato. Va bene, questo non sarà il Colosseo e nemmeno piazza San Pietro. Ma ogni tanto serve un po’ di fantasia. Non avete mai spedito una di quelle cartoline di Anne Geddes, che ritraggono bambini impertinenti nelle pose più tenere e buffe? Spediamo anche questa, dunque. A me, di Morimoto, sembra ancora il ricordo più bello.

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Adesso, una cartolina sonora. È il 18 maggio 2008, siamo al secondo anno di serie A. Al Massimino si gioca Catania-Roma, e a noi serve un pareggio per raggiungere la salvezza. Arriverà alla fine, quel pareggio, per opera di Jorge Martinez. Nella cartolina che abbiamo scelto, le immagini della partita si alternano al commento – una specie di radiocronaca – andato in onda su una Tv locale. Il radiocronista si chiama Angelo Patané. La sua voce ha accompagnato molti di noi, prima che le trasferte si potessero guardare su Sky, raccontando la faticosa risalita del Catania dalle serie minori. Se conoscete il genere, sapete cosa aspettarvi. Se non lo conoscete, devo avvertirvi che la cartolina dura cinque minuti abbondanti. Però secondo me li vale tutti.

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Anche la settima è una cartolina in movimento. Ed è di nuovo un derby con il Palermo, di nuovo una nostra vittoria. Segna una doppietta Maxi López, ma non è questo che mi interessa. Mi interessa il giocatore che fa segnare il secondo gol. Che è di nuovo Jorge Martinez. Se si guarda l’azione del raddoppio con attenzione si può notare come Martinez, dopo uno scatto velocissimo sulla destra, e appena un attimo prima di passare la palla a López, si sia fatto molto male. Dopo il gol, infatti, i suoi compagni lo raggiungeranno tra i cartelloni a bordo campo per abbracciarlo. Uscirà in barella. Ma lui intanto ha portato lo stesso a termine l’azione, è arrivato sul fondo, quasi zoppicando, poi ha passato la palla al compagno che l’avrebbe spinta in rete. Non so perché, ma quando vedo la generosità con cui sapeva giocare Martinez, provo subito una struggente nostalgia. Mi basta e avanza, per scegliere questa cartolina.

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Ed eccoci all’ultimo invio. È una cartolina semplice, una foto. Ritrae un ragazzo che piange. Il ragazzo si chiama Marco Biagianti. È toscano, ma è a Catania che è diventato prima un calciatore di serie A e poi un punto fermo della squadra, meritandosi perfino una simbolica convocazione in Nazionale. È appena finito il campionato 2009/2010 e, adesso, tutti si aspettano che Biagianti parta, che passi a una squadra con maggiori ambizioni. E lui piange: perché in questo preciso momento Marco non è un professionista che calcola freddamente ingaggi e carriera. È solo un ragazzo che sta facendosi adulto, che sta per staccarsi da un pezzo della sua vita, per affrontare una separazione che sembra necessaria, ma non per questo è meno dolorosa. Piange perché il calcio, per lui, significa ancora emozioni, affetti, dolore, passione. Non solo soldi. E infatti alla fine rimarrà. Attraversando, sul piano tecnico, momenti non sempre felici. Ma meritandosi sempre la maglia che indossa e la fascia di capitano che si conquisterà. Giocando ogni partita con lo stesso coraggio, la stessa generosità. Cosa che non può dirsi, purtroppo, di molti suoi colleghi. Come gran parte di quelli che, quest’anno, hanno vestito la stessa maglia.

In alcune città c’è l’uso di gettare, prima di partire, qualche monetina in fondo a una fontana. Pare che porti bene, che sia di buon auspicio, che prepari un pronto ritorno. Non ho spiccioli con me, purtroppo. Ma non importa. Ho qualcosa di meglio. Ho le lacrime di Marco. Getterò quelle, in fondo alla fontana di questa serie A che oggi salutiamo.

Ecco fatto. Dite che si scioglieranno nell’acqua? Guardate bene. Sono ancora lì, perfettamente distinguibili. Non luccicano di nichel o di rame, come le migliaia e migliaia di monete che coprono il fondo. Brillano dei loro colori. Sono lì: una rossa, una azzurra, una rossa una azzurra, una rossa una azzurra. Sono lì a dirci quale strada dovremmo imboccare, se vogliamo sperare che ci sia un ritorno. A ricordarci ciò che è mancato, nel disgraziato campionato che è appena finito. A sussurrarci che c’è ancora, da qualche parte, qualcosa di più prezioso dei soldi.

Perfino oggi. Perfino nel calcio.

Claudio Spagnolo

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