Si conclude il rito abbreviato del processo nato dopo l'inchiesta antimafia del novembre 2014. Alla sbarra, accusato di concorso esterno, anche Giovanni Malavenda. Impresario di Reggio Calabria che la procura riteneva «un protetto di Cosa nostra catanese». In un filone separato è imputato Enzo Ercolano
Caronte, condannato l’imprenditore Carmelo Motta Interessi nel settore della carne e affari con i Fortè
Sette imputati condannati e quattro assolti. Si chiude così il primo atto dell’inchiesta antimafia Caronte, culminata con il blitz del novembre 2014. Nel processo, che si è svolto con il rito abbreviato, i nomi caldi erano quelli di due imprenditori entrambi accusati di concorso esterno in associazione mafiosa: Carmelo Motta e Giovanni Malavenda. Per loro stesso capo d’imputazione ma esito finale differente. Il primo è stato condannato a nove anni e quattro mesi, mentre l’altro è stato assolto perché «il fatto non sussiste». Il giudice per l’udienza preliminare Francesco D’Arrigo in generale ha scelto di non allinearsi alle richieste dell’accusa, sostenuta in aula dai magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito. In un filone separato c’è alla sbarra Enzo Ercolano, ritenuto elemento di vertice della mafia ai piedi dell’Etna.
Tra gli imputati di oggi Rosario Bucolo – per lui erano stati chiesti dieci anni – è stato condannato a 13 anni e quattro mesi. Passa dai nove ipotizzati dall’accusa a dodici anni la condanna per Cesare Marletta. Ritenuti colpevoli anche Natale Raccuia (14 anni e otto mesi) e Camillo Pulvirenti (13 anni e quattro mesi). Condannati ma con pena sospesa a un anno e quattro mesi Santo Floridia e Davide Pappalardo. Il giudice ha scelto di assolvere Luigi Calascibetta, Alfio Catania e Giovanni Pastoia.
Il nome di Carmelo Motta è recentemente tornato al centro delle attenzioni della procura di Catania. All’uomo, dallo scorso febbraio, sono state sequestrate tre società: la Due emme srl, Ge.ma. srl e So.me.ca. srl – con sedi a Belpasso e ad Acireale – tutte specializzate nel commercio della carne e di prodotti derivati. Aziende che il giudice D’Arrigo ha scelto di sottoporre a confisca. Proprio il settore della macellazione è quello finito sotto la lente d’ingrandimento del Ros dei carabinieri durante l’inchiesta Caronte. Sia Motta che Malavenda negli scorsi anni si sono occupati di rifornire decine di supermercati in tutte le province siciliane. La Due emme srl nel 2009 chiude un contratto milionario con Meridi srl per la fornitura delle macellerie di 30 discount a marchio Fortè in tutta la Sicilia. Una catena di proprietà del compaesano Nino Pulvirenti, attuale patron del Calcio Catania.
Da Belpasso a Reggio Calabria, terra d’origine di Giovanni Malavenda. L’imprenditore reggino era ritenuto un soggetto bifronte che avrebbe beneficiato, per l’accusa, «della protezione di Cosa nostra catanese». Ipotesi che però non è stata condivisa dal giudice Francesco D’Arrigo. I magistrati della procura etnea durante la fase investigativa, avevano scandagliato rapporti bancari e contratti del colletto bianco, molti di questi chiusi con la catena di supermercati Eurospin Sicilia. Sospetti anche su un conto in una banca calabrese. La stessa che curava quello della Due emme di Carmelo Motta.