C’è un filo che lega il Catania a Bologna. E ieri sera ne abbiamo tenuto in mano un capo. Con amarezza, ma senza sorpresa. Abbiamo perso, dopo cinque vittorie consecutive: il che cambia poco nella corsa alla salvezza; ma chiude lo spazio alle illusioni dei più ottimisti, che speravano ancora che, nelle ultime dieci partite, si potesse miracolosamente raddrizzare quanto di storto s’era prodotto nel resto del campionato. Abbiamo perso male, è vero: senza fare un tiro in porta, rimediando un’infinità di ammonizioni e l’espulsione di Calaiò, uscendo dal campo inzuppati dalla pioggia e prolungando inutilmente la sofferenza per via di un calo di tensione elettrica, che ha costretto l’arbitro a sospendere per qualche minuto la partita. Abbiamo perso male, ma prevedibilmente. E dopo ieri sera – per quante critiche si possano rivolgere al nostro allenatore per come ha messo in campo la squadra o per come ha gestito i cambi – è giusto riconoscere che il Catania di Marcolin in questi ultimi mesi ci ha fatto un regalo: quello di abbellire il prosaico inseguimento della quota salvezza con sogni e ambizioni che, quest’anno, la nostra squadra non ha mai veramente meritato di coltivare.
Capolinea a Bologna, dunque. Esattamente come l’anno scorso. Quando nel capoluogo emiliano arrivammo per l’ultima trasferta, che fu poi l’unica partita vinta in trasferta dell’intera stagione. E che sancì, oltre alla nostra retrocessione, il rimpianto per ciò che poteva essere e non era stato. Capolinea a Bologna, come otto anni fa, maggio 2007: quando Bologna era campo neutro per via della lunghissima squalifica del Massimino, e il Catania si giocò lì, in una specie di spareggio contro il Chievo, la salvezza nella sua prima stagione in serie A. Una salvezza da cui cominciò una serie di campionati uno più bello dell’altro. E l’illusione di un progetto solido e duraturo, di una società modello che tutti dovevano invidiarci.
Quell’illusione è finita un anno fa, al termine dell’ultima stagione di serie A. Eppure, per gran parte di questo campionato, la società è rimasta immobile, perseverando nei suoi errori, continuando a puntare sugli stessi dirigenti che ne avevano determinato il fallimento. Solo negli ultimi mesi, poi, si è riusciti a ripartire. Ma era già troppo tardi perché si potesse recuperare la strada perduta.
Oggi, però, siamo di nuovo al capolinea. Ci resta da fare ancora, d’accordo, qualche metro per la matematica salvezza. Ma non è questo il punto. Il punto è che al capolinea si scende tutti. E questa volta speriamo che qualcuno – e cioè chi porta le colpe di due anni di fallimenti – faccia a meno di salire di nuovo, al prossimo giro.
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