Cantiere navale, a decine i casi di morte per amianto «Solo punta dell’iceberg, picco deve ancora venire»

«Fino a oggi sono stati 118 i casi di morti per amianto, ma si tratta solo della punta dell’iceberg. Secondo alcuni studi, il picco si registrerà solo tra alcuni anni, perché i tempi di incubazione della malattia sono molti lunghi, tra i 20 e i 40 anni. E, in tutti questi anni, molti casi sono andati ormai prescritti». A tracciare un quadro così sconfortante è l’avvocato Fabio Lanfranca, legale di parte civile che da anni segue i familiari degli operai della Fincantieri di Palermo deceduti in seguito all’inalazione di fibre di amianto e dove, per molti anni, l’azienda ha «negato fermamente l’uso di questo materiale». Attualmente, sono stati condannati in via definitiva con l’accusa di omicidio colposo per la morte di 43 lavoratori tre ex dirigenti dello stabilimento palermitano: si tratta di Luciano Lemetti, Antonino Cipponeri e Giuseppe Cortesi, ma ci sono altri processi in corso – due in appello (con condanna degli imputati in primo grado), altri tre in primo grado – e anche diverse indagini che riguardano le vittime del Cantiere navale palermitano – operai con mansioni strettamente correlate all’uso di questo materiale killer – dove, negli anni, è stato fatto «un uso massiccio». 

«Il numero dei casi accertati è sicuramente sottostimato rispetto al dato reale, ed è comunque destinato a crescere – ribadisce Lanfranca – Secondo una ricerca condotta su scala nazionale, si stima che il picco dei decessi si avrà nel 2020. Nel frattempo, moltissime posizioni sono andate prescritte e si tratta di patologie con tempi di latenza assai lenti. Tante persone sono decedute senza neppure sapere di aver contratto la malattia nelle ore di lavoro». Il periodo di incubazione, infatti, varia a seconda del tumore: il mesotelioma è una forma rara e molto aggressiva. Nonostante i tempi di latenza siano decennali, una volta evidente e diagnosticato può condurre alla morte in meno di un anno. Non necessariamente letale, sebbene drammaticamente invalidante, è l’asbestosi che provoca cicatrizzazioni che intervengono nei polmoni in seguito all’inalazione di amianto con una ridotta capacità respiratoria: i tempi di latenza sono più brevi e si aggrava se si continua a esser esposti all’amianto. Altra causa di morte, infine, è il carcinoma polmonare. 

Per anni nel cantiere palermitano si è fatto «un uso industriale di amianto» utilizzato in tutte le opere di coibentazione delle navi finché, a partire dal ’92, la sua produzione e lavorazione è stata bandita con l’introduzione della legge numero 257. Ed è proprio allora che la dirigenza ammette per la prima volta l’uso di questo materiale: la legge, infatti, introduce sgravi ai fini pensionistici per tutti i lavorativi che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore ai 10 anni. «A Palermo si è creato un caso particolare – ricostruisce il legale – le perizie depositate nei processi che hanno certificato la totale assenza di misure di protezione a salvaguardia dei lavoratori e per una ragione molto semplice: per anni i dirigenti e l’azienda hanno negato l’utilizzo dell’amianto. Coerentemente, non potevano approntare nessuna misura di sicurezza a tutela della loro salute. Tutto questo non è stato fatto, almeno fino al ‘92». A quel punto l’azienda, per usufruire delle agevolazioni concesse dallo Stato, ammette di aver avuto «addirittura 1750 lavoratori esposti all’amianto, in pratica le persone che in quel momento avevano maturato il diritto alla pensione».

Una scelta che negli anni si è trasformata in un boomerang per l’azienda: «Allora ovviamente non potevano prevedere che questi dati sarebbero stati usati nei processi – ammette Lanfranca – E quell’ammissione conferma che loro non hanno fatto poco per proteggere il personale, senza informarli neppure dei pericoli che correvano. Per questo oggi parliamo di un picco dei casi». E l’amianto non ha risparmiato nemmeno i familiari degli operai deceduti: «Ho seguito personalmente due casi in cui a perdere la vita per mesotelioma sono state le mogli di due operai e in un altro episodio, addirittura, anche una figlia. Senza tralasciare gli ammalati – aggiunge – sono almeno un centinaio quelli che non stanno bene per colpa dell’amianto». A breve, il 2 novembre prossimo, comincerà davanti alla quarta sezione monocratica del Tribunale di Palermo, un altro processo: anche in questo caso caso l’accusa per i tre ex dirigenti del Cantiere navale è «di non aver adottato le cautele previste dalla legge per le lavorazioni dell’amianto» provocando la morte di 18 operai. 

Una ferita, questa, ancora aperta nella città e sulla quale la Cgil vuole tenere alta l’attenzione: questo venerdì 7 luglio al Real Teatro Santa Cecilia ci saranno due momenti dedicati alla memoria delle vittime e alla denuncia. Alla 16 si terrà il dibattito Amianto, la strage invisibile, discussione a più voci, che precede lo spettacolo teatrale Eternity, per la regia di Claudia Puglisi, con Filippo Luna e Silvia Scuderi. Uno progetto che nasce dall’idea di due operai in pensione, Turi Occhipinti e Gaetano Scollo, che hanno deciso di utilizzare l’arte come canale di denuncia. «È fondamentale fare un’opera di informazione continua sui pericoli dell’esposizione all’amianto e sulla asbestosi, malattia dalla quale non si può guarire – dice Francesco Foti, della Fiom Cgil Palermo – Vogliamo creare un comitato permanente con le istituzioni che abbia il compito di denunciare la presenza di amianto ancora diffuso in città. Al Cantiere Navale le bonifiche sono in corso, le ultime sono state avviate due anni fa, grazie alle denunce della Fiom. Ma nei posti di lavoro ancora le denunce sono troppo poche: è un fenomeno che stenta ad essere scoperchiato».


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Un quadro sconfortante che per Fabio Lanfranca, legale di parte civile che assiste alcuni degli operai, è destinato a peggiorare nel tempo. Numerose le vittime, anche tra i familiari, e almeno un centinaio gli ammalati: «Ho seguito personalmente due episodi in cui a perdere la vita sono state le mogli di due lavoratori e persino una figlia»

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