«La legge ci sarebbe, eppure si è ancora costretti ad atti di disobbedienza civile». Anzi, le leggi sarebbero pure più di una. Quella siciliana è il decreto del 2020 con cui è stato approvato l’uso della cannabis terapeutica con rimborsabilità a carico del sistema sanitario regionale. Dunque, gratis per alcuni pazienti e utilizzabile per chiunque […]
Cannabis terapeutica in Sicilia, tutto quello che c’è da sapere: dai pregiudizi dei medici alle poche scorte
«La legge ci sarebbe, eppure si è ancora costretti ad atti di disobbedienza civile». Anzi, le leggi sarebbero pure più di una. Quella siciliana è il decreto del 2020 con cui è stato approvato l’uso della cannabis terapeutica con rimborsabilità a carico del sistema sanitario regionale. Dunque, gratis per alcuni pazienti e utilizzabile per chiunque (o quasi) come un qualsiasi altro farmaco a pagamento. Almeno in teoria. La pratica, infatti, rimane ancora un percorso a ostacoli. «Di passi avanti ne sono stati fatti – commenta a MeridioNews Giuseppe Brancatelli, presidente dell’associazione BisTer di Catania che si occupa di sensibilizzare su questo tema – ma restano ancora molti pregiudizi che compromettono l’accesso alla terapia». Un elenco fatto di informazioni confuse sull’iter per i pazienti, resistenze dei medici, incompetenza dei farmacisti, difficoltà di reperimento e preconcetti politici.
Quando la cannabis è legale
Partiamo dalla base: in Italia, l’uso terapeutico di questa sostanza stupefacente è legale. Come ogni farmaco, anche la cannabis terapeutica (ottenuta dalle infiorescenze femminili mature essiccate di cannabis sativa L., coltivate senza pesticidi) può essere prescritta da un medico per qualunque patologia. Ma solo se le terapie convenzionali sono già state provate e non hanno dato i risultati attesi. A quel punto, la cannabis medica è prescrivibile con spese a carico del paziente. E qui inserisce il caso della Sicilia che – come molte altre regioni – ha legiferato per fare in modo che, in presenza di condizioni specifiche, il farmaco sia gratuito per alcune tipologie di pazienti e a carico del sistema sanitario regionale.
Come si fa (in teoria)
Per la cannabis terapeutica a pagamento, il paziente va dal medico (di base, privato, specialista, ospedaliero) che valuta come necessaria e adatta questa terapia. Il paziente deve essere già stato trattato, per un tempo sufficiente, con altri farmaci; non deve avere disturbi psichiatrici né essere stato in terapia per patologie psichiatriche; non deve essere in gravidanza e deve avere effettuato un’anamnesi di patologie cardiovascolari. Superate queste premesse, il medico individua e indica la posologia e la modalità di assunzione più appropriate. Con la ricetta bianca in mano, il paziente va in una farmacia galenica, aspetta la preparazione, paga e ritira il farmaco. Che potrà essere assunto per via orale o inalatoria con cartine per decotto, cartine o capsule apribili per vaporizzazione oppure estratti (cioè oleoliti). Per la ricetta rossa, quella gratuita per il paziente, funziona in modo un po’ diverso.
Per chi è gratis in Sicilia
La cannabis terapeutica è prescrivibile gratuitamente solo ed esclusivamente per la riduzione del dolore cronico moderato-severo refrattario alle terapie farmacologiche; per la riduzione del dolore associato a spasticità refrattaria ad altri trattamenti in pazienti affetti da sclerosi multipla con punteggio uguale o superiore a 5 della scala Nrs o che presentano intolleranza alle terapie convenzionali; e per la riduzione del dolore neuropatico sempre in pazienti con stesso punteggio e sempre con resistenza al trattamento con le terapie convenzionali o che presentano intolleranza. La scala Nrs è lo strumento utilizzato per valutare l’intensità del dolore: una linea orizzontale con un intervallo che va da zero (nessun dolore) a dieci (peggior dolore immaginabile) in cui il paziente deve disegnare un cerchio sul numero che meglio descrive il dolore che prova. Insomma, una sorta di autovalutazione che può essere fatta anche verbalmente.
Come si fa (gratis e in teoria)
Pazienti che sono affetti da queste patologie, possono avere gratis la cannabis medica. Requisito fondamentale è la compilazione di un piano terapeutico (che ha validità massima di sei mesi) da parte di un medico specialista, dipendente di un ospedale pubblico nei seguenti ambiti: in ricovero ordinario, in day hospital o ambulatoriale, in Anestesia-rianimazione, in centri di Terapia del dolore o in Neurologia. La prima prescrizione si fa compilando la ricetta cartacea (rossa) riferita a un massimo di trenta giorni di terapia. L’eventuale rinnovo della terapia può avvenire da parte dello stesso specialista o del medico di base. Ricevuta la ricetta, il paziente va nella farmacia ospedaliera dove avviene la preparazione galenica. In caso di necessità, la farmacia territoriale può stipulare convenzioni con altre farmacie ospedaliere o pubbliche.
I limiti della pratica
Questa è la teoria, poi c’è la pratica. «Esistono ancora molti medici che rifiutano anche solo di considerare la cannabis come opzione terapeutica, del resto nelle università fino a non molto tempo fa era proprio un tabù», spiega a MeridioNews Giuseppe Brancatelli che per queste figure professionali ha organizzato a Catania anche dei corsi di formazione riconosciuti dall’ordine dei medici. Superato lo scoglio del medico, resta quello delle farmacie: solo poche hanno personale in grado di allestire le preparazioni galeniche. E spesso manca proprio la materia prima. «In Italia, l’unico ente autorizzato a produrre cannabis medica è lo stabilimento militare di Firenze», dice il presidente di BisTer. Stabilimento che, ovviamente, non riesce a coprire il fabbisogno dell’intera nazione. «Motivo per cui la importiamo dal Canada, dall’Olanda, dalla Germania e anche dall’Australia». Quando, invece, la si potrebbe produrre direttamente sull’Isola, «dando la licenza alle case farmaceutiche per delle serre particolari in cui produrre le piante farmaceutiche, senza antiparassitari. Legalizzare davvero l’uso terapeutico della cannabis – aggiunge Brancatelli – significherebbe anche dare possibilità al paziente di coltivare in casa. Del resto – conclude – persino il prezzemolo che teniamo nei vasetti sui balconi può essere tossico».