Calcio Catania, la vergogna di Ischia È arrivato il mobbing contro i tifosi?

I verbi usati per parlare di noi tifosi non sono poi tanti. E ci vedono, in genere, nel comodo ruolo del complemento oggetto. Sono verbi che raccontano, più o meno metaforicamente, il lato romantico del calcio: un arrembaggio della nostra squadra può infiammarci, una vittoria illuderci, l’arrivo di un nuovo calciatore, dal mercato di gennaio, può farci sognare. O possiamo venire al contrario delusi, traditi, ingannati. Ma parliamo sempre di sentimenti: il cui accendersi o spegnersi non è che l’effetto delle imprevedibili traiettorie di una sfera di cuoio.

Curiosamente, le cose cambiano per altri verbi: quelli che si usano per parlar di soldi, di contratti, di rapporti economici. Qui noi tifosi diventiamo, da semplice complemento oggetto, indispensabile soggetto di azioni come comprare, sottoscrivere, abbonarsi e via discorrendo. Non s’è mai visto infatti – essendo il tifo, quello vero, una seconda pelle che non si può cambiare a comando – che un tifoso possa essere acquistato o venduto come avviene ai calciatori. Né che possa essere ingaggiato o esonerato come si fa con gli allenatori.

La precisazione va a beneficio di chi abbia trascorso il primo pomeriggio di ieri a vedere la vergognosissima partita giocata e persa dal Catania sul campo dell’Ischia Isolaverde. A dispetto di ogni apparenza, l’intento dei giocatori che sono scesi in campo, del tecnico che ha preparato la gara e della società tutta non era quello di esonerarci dal ruolo di tifosi. Per la semplice ragione che l’esonero del tifoso non esiste, e che perfino con questa società e questa squadra – e anche nel caso si sia scelto di disertare a oltranza lo stadio – tifosi si rimane lo stesso. Qualunque cosa faccia il Catania per provare a farci smettere.

Nessuno dunque, a Ischia, stava giocando per licenziare noi. Anche se l’offensiva prestazione di ieri pomeriggio potrebbe, a ben vedere, rientrare in quei comportamenti che la legge definisce mobbing. E cioè – a norma di vocabolario – quell’insieme di «molestie, mortificazioni inflitte a un lavoratore per emarginarlo, per ostacolarne la carriera, il successo, per screditarlo», nonché «le patologie che ne derivano nelle vittime». I tifosi, è vero, non si potranno licenziare come avviene ai lavoratori; saranno pure l’ultima categoria per la quale non s’è riusciti a vanificare l’articolo 18. Ma si può sempre provare a spingerli ad andar via, a disamorarsi, a vergognarsi della propria squadra. Si può provare ad allontanarli, insomma, non con una semplice azione contrattuale – non esistono, ripeto, verbi economici che abbiano tifosi come complemento oggetto – ma aggredendone sistematicamente sentimenti e morale. Facendo mobbing, appunto.

Non starò qui a riassumerle, le azioni di mobbing che abbiamo sopportato in questi anni. E che riguardano tutte scelte, strategie, politiche attuate sistematicamente dalla dirigenza rossazzurra. Sarebbe lungo, e pure inutile. Il guaio resta sempre quello, però. Non riusciamo in genere, noi tifosi, ad essere altro che complemento oggetto. Non siamo ancora riusciti a trovare un modo chiaro, civile, efficace, per far sì che chi gestisce economicamente la nostra squadra debba confrontarsi con noi. Senza poter mettere la nostra passione, incondizionatamente, all’attivo di ogni proprio bilancio. 

All’estero – dove ci sono grandi squadre i cui azionisti sono i tifosi – si sa che le cose possono anche andar diversamente. In Italia, quella dei tifosi che comprano la squadra viene ancora vista come la fiaba di Biancaneve. Anche se a volte diventa realtà, sia pure in qualche campionato lontano dal calcio che conta.

Dobbiamo dunque rassegnarci ad essere strapazzati – da una proprietà che al momento, del resto, ha ben altro a cui pensare che non al calcio – rimanendo però indissolubilmente legati a questa squadra, a questi colori? Pare di sì, l’esonero da tifoso non è previsto. Anche se quasi quasi, in giornate come queste, mi vien da invidiare gli allenatori. Ai quali può bastare un benservito per dimenticarsi tutto e ricominciare.

A tal proposito, io non lo so se Pancaro abbia i mezzi per tirare fuori questa squadra dai guai. Che potrebbero significare quest’anno, classifica alla mano, la terza retrocessione consecutiva.

Ma questo, comunque, è un altro discorso. Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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