Blitz Ghibli, la banda delle rapine a chilometro zero Il dialogo: «Un’altra stasera? Tranquillizziamoci»

Si sono ispirati a Ghibli, il nome con cui in Libia viene chiamato il vento proveniente da sud-est, per spazzare via una banda specializzata nel compiere rapine nel triangolo compreso tra Giarre, Acireale e Aci Catena. A guidare il gruppo ci sarebbe stato il 37enne Giuseppe Marino da Aci Catena, la stessa cittadina dalla quale provengono la maggior parte dei suoi presunti complici. 

Marino è una mancata promessa del calcio locale con un passato, non troppo lontano, da addetto allo scarico bagagli aeroportuali tra gli scali di Fontanarossa e Fiumicino. Nelle carte dell’inchiesta viene bollato dal giudice per le indagini preliminari come un personaggio d’esperienza, «abile e freddo» e in molti casi pure costretto a spronare il resto della banda per ottenere il rispetto dei compiti assegnati. Il suo ultimo arresto – l’ordinanza Ghibli gli è stata notificata in carcere – risale a marzo scorso. Quando è stato incastrato dopo una rapina alla stazione di servizio Esso di via Nizzeti

I particolari dell’inchiesta Ghibli emergono grazie ad alcune intercettazioni telefoniche e ambientali. Le cimici degli investigatori, inserite in quattro smartphone e all’interno di una macchina, per ore hanno registrato dialoghi. Spesso conditi da momenti di tensione. In un’occasione per esempio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a ribellarsi sarebbe stato Danilo Cannavò. Spazientito perché costretto a effettuare troppi spostamenti con delle auto rubate. «Sempre io lo devo fare compare […] prendi di qua, prendi di là». L’alternativa sarebbe stato «un colpo» solo, cioè rubarla la prima volta e basta. «Vattene da qua – gli rispondeva a muso duro il presunto capo – dai, cammina Dani».

Tra i personaggi più conosciuti ad Aci Catena, anche per il coinvolgimento in un grave incidente stradale, il 24enne Giuseppe Cannavò, adesso accusato di tentata rapina e ricettazione. Più recenti le vicissitudini che hanno riguardato il padre, Cirino. Finito sotto inchiesta dopo avere aggredito a colpi d’ascia il compaesano Giuseppe Finocchiaro. Cannavò senior, estraneo a questa inchiesta che coinvolge il figlio, a ottobre del 2018 era rimasto invischiato nell’indagine Aquilia, e adesso è sotto processo per furto, estorsione e detenzione illecita di armi. Una storia dai mille intrecci in cui è emerso anche il nome di Concetta Cannavò, quest’ultima zia del giovane arrestato in Ghibli e anche lei finita a processo in Aquilia.

Qualche ora dopo la conversazione tra il presunto capo, Marino, e il giovane Danilo Cannavò – era il 5 giugno 2018 – le telecamere immortalano una persona con il volto coperto che cerca di scardinare la porta d’ingresso di un supermercato Ard ad Aci Sant’Antonio. Il piano però non viene portato a termine. Il giorno successivo con la stessa macchina, una Fiat Uno risultata rubata, la banda si presenta all’ufficio postale di via Felice Paradiso, ad Acireale. Il colpo questa volta viene portato a termine ma il bottino è di appena 850 euro. «Ma come mai così poco?», si domanda Marino. A rispondergli, mentre i due si trovano in macchina, è sempre Cannavò. «Vi suonavo, stava succedendo il panico fuori […] e vedo quelli che gridano con i telefoni in mano. È normale che vi suono hai capito?». L’argomento della conversazione, secondo gli inquirenti, restano le rapine: «Un’altra stasera?», ma in questo caso è il complice del capo banda a correggere il tiro: «Tranquillizziamoci ora…».

Nell’inchiesta, concentrata tra aprile e luglio 2018, sono sei le rapine ricostruite dai carabinieri di Acireale. Oltre alle cinque persone finite in manette, altre tre quelle iscritte nel registro degli indagati. Il primo assalto risale all’8 maggio dello scorso anno. Giorno in cui Marino avrebbe presto di mira le poste di Viagrande. Bottino finale 600 euro e fuga a casa del presunto complice Davide Copercini, all’epoca agli arresti domiciliari e adesso dietro le sbarre. Copercini avrebbe ospitato nella sua abitazione proprio il presunto capo banda: «Dovrà riflettersi – scrive il giudice nell’ordinanza – come un pregiudicato dimori a casa di un soggetto agli arresti domiciliari». 


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