Benedetto XVI lascia una Chiesa che riflette poco su Dio e molto sul denaro (Ior)

Sono passate solo poche settimane dalle dimissioni di Benedetto XVI dal mandato di Papa e tutti sembrano aver dimenticato ciò che è accaduto per concentrarsi sul “TotoPapa”, ovvero sulla descrizione più attenta e dettagliata possibile delle procedure per la nomina del nuovo Pontefice e sui pettegolezzi che stanno alle spalle dell’elezione.

Ma le cause che hanno portato Benedetto XVI a presentare le proprie dimissioni, compiendo un atto di rilevanza, a dir poco, storica, sembra non interessino più a nessuno. Forse questo disinteresse generale è stato causato da una sorta di “inflazione” di tale argomento dovuto al fatto che tutti, giornalisti, vaticanisti, e pseudo esperti del settore si sono tuffati nella mischia, ciascuno convinto di conoscere la verità circa la causa delle dimissioni e di averne le prove.

Parole come “certamente”, “di sicuro”, “ovviamente”, hanno riempito gli articoli sull’argomento e le prime pagine dei giornali.

Si è andati dalle teorie di cospirazioni attribuite da alcuni all’ormai leggendario (ma solo in senso etimologico) gruppo Bilderberg che avrebbe costretto Benedetto XVI a prendere una decisione così difficile, alle altrettanto improbabili pressioni ricevute dal Pontefice attribuite ad una sorta di lobby di preti omosessuali, ma molto potenti, presenti in Vaticano.

C’è stato chi, come Don Angelo Maria Fanucci, prete di Gubbio, ha addirittura detto che il Pontefice sarebbe stato “profondamene ferito. Personalmente, certo, ma più ancora come pastore della Chiesa universale” dal numero elevatissimo di commenti negativi (vicino al 50% dei 50.000 messaggi) ricevuto dal Pontefice su Twitter. Tanto colpito da decidere di presentare le proprie dimissioni.

Alcuni hanno affermato che le dimissioni del Papa sono state dovute alle accuse mosse nei suoi confronti da soggetti interni al Vaticano a seguito di ciò che era avvenuto con Vatileaks, seguite al furto, commissionato da sconosciuti, di alcuni documenti riservati di Benedetto XVI da parte del suo maggiordomo personale.

Altri hanno detto che il Papa si sarebbe dimesso per evitare un arresto ormai prossimo a seguito di una denuncia per crimini contro l’umanità commessi da alte cariche della Chiesa presentata da un’organizzazione internazionale denominata ITCCS, che sta per International Tribunal Into Crimes of Church and State. E che gli incontri avuti dallo stesso Benedetto XVI con Napolitano, prima, e con Monti, subito dopo, sarebbero serviti a garantirsi una sorta di asilo politico.

Al di là del fatto che la maggior parte di queste spiegazioni hanno del ridicolo e non meritano commento, quali siano state le reali motivazioni che hanno portato Benedetto XVI a presentare le proprie dimissioni, probabilmente non lo sapremo mai.

Le ragioni di un gesto storicamente tanto importante, non solo per al rarità dell’evento, ma per le conseguenze ideologiche che comporta, probabilmente resteranno nella memoria di Benedetto XVI e di chi è sopra di lui. A nessun altro sarà concesso di sapere quali siano state realmente le cause di un gesto che ha, di fatto, rimesso in discussione il principio basilare della Chiesa Cattolica: ovvero quello secondo il quale il mandato papale sarebbe non mera gestione e spartizione di poteri all’interno di uno Stato temporale come molti altri, ma l’esecuzione di una volontà divina.

E, forse, è proprio questo che ha convinto Benedetto XVI, uomo meditativo e studioso più che uomo d’azione come era stato il suo predecessore, che era giunto il momento di lasciare un segno del proprio pontificato e rinunciare al mandato affermando che “nella tentazione è in gioco la fede. Vogliamo seguire l’io o Dio?”.

Dimettendosi, Benedetto XVI ha, di fatto, lanciato un’accusa alla Chiesa e al modo in cui viene gestita, molto più pesante di qualsiasi pettegolezzo o accusa mossa sino ad oggi dai media. Un atto di accusa diretto esplicitamente verso la struttura di potere che, da molto tempo ormai, distoglie la Chiesa da quelli che dovrebbero essere i propri compiti spirituali.

Da troppo tempo l’attenzione di una parte rilevante dei clero (a tutti i livelli) è destinata alla gestione di un patrimonio immobiliare immenso che vanta proprietà in tutto il globo.

Da troppo tempo, ormai, prelati e laici dal passato, eufemisticamente, dubbio, concentrano i propri sforzi non nella salvaguardia delle anime e della fede, ma sulla gestione di un istituto finanziario come lo IOR, che non serve a gestire le offerte dei fedeli, ma a far fruttare ingenti capitali di provenienza non certa con procedure anomale, praticamente priva di sportelli, di carte di credito o bancomat, ma con ‘casse’ piene di soldi di cui non si conosce la provenienza, né l’utilizzo (e con rendimenti molto maggiori di quelli delle altre banche).

Troppo tempo è stato necessario (quasi un anno di duri scontri interni) per decidere chi avrebbe dovuto rivestire i vertici della banca vaticana, che da decenni ormai è continuamente coinvolta in scaldali internazionali e in eventi di cronaca nera.

La realtà è che il Vaticano non è più (e da molto tempo) un luogo di pura e semplice spiritualità, ma uno Stato sovrano con interessi economici e conflitti interni; uno Stato che ha un potere enorme dato dalla possibilità di insediare i propri rappresentanti in tutti gli altri Stati del Mondo (o quasi) senza destare timori. Nessun’altra religione al mondo ha un simile potere (tranne forse le falangi più estremiste dell’islamismo).

Questo, forse, potrebbe essere uno dei motivi che hanno portato Benedetto XVI a rinunciare al proprio mandato di leader di una Chiesa che, giorno dopo giorno, somiglia sempre di più ad uno Stato temporale governato da partiti politici con i loro scheletri negli armadi.

Forse non è un caso che l’attenzione generale, subito dopo le dimissioni di Benedetto XVI, sia stata concentrata sulla spartizione del potere tra i vari “gruppi” ecclesiastici. Gli 11 gruppi in cui sono divisi i 117 cardinali elettori, con i salesiani e i francescani tra i più numerosi. E che, a conferma del fatto che la scelta del nuovo Pontefice non è opera dello Spirito Santo, ma solo una mera spartizione di poteri, da quasi due secoli, nessun Cardinale appartenente a un ordine religioso di quelli elettori ha ricevuto il numero necessario di suffragi dei confratelli elettori per poter indossare la talare bianca. (a sinistra, foto tratta da news.yahoo.com)

Probabilmente è stato proprio l’essersi reso conto di essere rimasto da solo, in un momento di rilevanza storica in cui una grossa percentuale del clero ha praticamente rinunciato alla propria spiritualità per votarsi alla spartizione materialista dell’impero economico del Vaticano, che ha portato Benedetto XVI a compiere un gesto così plateale.

Benedetto XVI non è un guerriero e un Pontefice dalla forte personalità come era Giovanni Paolo II, ma uno studioso, un meditatore… e quello che sta accadendo all’interno della Chiesa ha ormai un peso che non può essere sopportato da chi ha una personalità come la sua, poco votata agli intrallazzi di corte.

Forse è questo che Benedetto XVI ha voluto dire nel suo ultimo discorso dal balcone di San Pietro, due domeniche fa, affermando che “nella tentazione è in gioco la fede. Vogliamo seguire l’io o Dio?”. L’atto di accusa verso la struttura di potere che corrompe la Chiesa è stato evidente.

A denunciare questa situazione non è stato un prelato qualsiasi, o un giornalista, o uno dei vaticanisti che nelle scorse settimane hanno riempito i giornali e scaricato le proprie penne: è stato il Papa.

Chissà se i destinatari di questo messaggio hanno compreso che le ultime parole di Benedetto XVI da Papa non erano rivolte ai fedeli di cui era gremita la piazza, ma a qualcun altro all’interno della Chiesa.

Ma forse coloro a cui si rivolgeva il Papa erano troppo impegnati nella riorganizzazione dello IOR o a organizzare il Conclave per ascoltarlo…

 

 

 

 


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