A un mese dal rogo divampato all’interno dello stabilimento Ecomac di Augusta, resta alta l’attenzione sulle conseguenze ambientali di un incendio che sarebbe stato scaturito da un fulmine, ma su cui la procura di Siracusa indaga per capire se ci siano state negligenze da parte dei gestori. Intanto a intervenire sulla vicenda sono state ancora una volta le associazioni Legambiente Augusta e Natura Sicula e il Coordinamento Punta Izzo Possibile. Con un comunicato congiunto, le tre realtà denunciano le presunte inerzie da parte delle istituzioni in seguito alla pubblicazione dei dati raccolti da Arpa su diossine e furani, sprigionatisi nell’aria in seguito all’incendio.
«Le conclusioni dei tecnici rivelano che i valori di questi pericolosi microinquinanti – si legge nella nota – superano di oltre quattro volte il valore guida indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità per gli ambienti urbani e del 50 per cento il valore guida per le aree industriali. Un dato che l’Agenzia
regionale di protezione ambientale considera “coerente con i fenomeni di combustione ancora
attivi”, senza nulla aggiungere però in merito ai rischi per la salute delle popolazioni, né
sull’opportunità di indagini ambientali su acque superficiali e sotterranee, suoli, pascoli e prodotti
ortofrutticoli e di origine animale di competenza delle autorità sanitarie». Dall’indomani dei fatti le tre realtà chiedono una presa di posizione da parte delle istituzioni in merito ai rischi per quanti si possono trovare esposti alle diossine. « Dalla relazione di servizio sull’intervento di Arpa del 22 agosto scorso si apprende inoltre che i campionamenti della matrice aria finalizzati alla ricerca di diossine – continua la nota – sono stati circoscritti al territorio di Melilli e Priolo e limitati nel tempo. Nessun prelievo tramite canister è stato dunque effettuato nella zona di Augusta, malgrado sia probabilmente questa la cittadina più colpita dalla nube nera sprigionatasi dal rogo, come pure comproverebbe l’analisi del campione aria prelevato il 25 agosto presso la Darsena e nel quale è stata accertata una elevata presenza di naftalene correlabile all’incendio».
I rilievi di Arpa su diossine e furani, già il 9 settembre scorso, erano stati trasmessi ad Asp, Prefetto,
Protezione civile, Vigili del fuoco nonché ai Comuni di Siracusa, Augusta, Priolo e Melilli. «Ad oggi, tuttavia, nessuno dei sindaci è intervenuto per informare direttamente i propri concittadini, né a mezzo stampa o social né attraverso la sezione “informazioni ambientali” dei rispettivi siti istituzionali – proseguono Legambiente Sicilia, Natura Sicula e Coordinamento Punta Izzo Possibile – Del pari non si è data alcuna notizia di eventuali controlli – finora inspiegabilmente omessi – su terreni, corpi idrici e prodotti alimentari di origine vegetale e animale. L’Agenzia per la Protezione Ambientale (APAT) ci ricorda che i tempi di persistenza delle diossine negli strati superficiali del suolo è stimata con un’emivita pari a 9-15 anni, mentre l’emivita stimata per gli strati più profondi è di 25-100 anni. Occorre quindi che campionamenti e analisi perdurino nel tempo».
L’attenzione è rivolta poi anche alle indagini che dovranno stabilire se la Ecomac abbia o meno rispettato tutte le prescrizioni ricevute dalla Regione, al momento della concessione dell’autorizzazione ambientale per la gestione dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Tra plastica, vetro, carta e rifiuti pericolosi. «L’incertezza sulle ricadute ambientali dell’incendio Ecomac si accompagna alle anomalie nella gestione dell’impianto riscontrate nell’ultima e unica ispezione realizzata dal Libero Consorzio e Arpa tra aprile e maggio di quest’anno – denunciano gli attivisti – Il “verbale di ispezione dei luoghi”, prodotto a seguito dell’attività ispettiva, elenca le numerose difformità accertate nella gestione dello stabilimento».
Nella nota si anno anche alcuni esempi: «Nei piazzali esterni dello stabilimento, i tecnici dell’ex Provincia e dell’Arpa avevano in particolare riscontrato l’utilizzo delle “aree di passaggio” come siti di stoccaggio di ecoballe in plastica, nonché la presenza di cumuli di rifiuti ingombranti in assenza di copertura, di tettoie e dei setti divisori prescritti dal provvedimento autorizzativo. In almeno tre aree esterne – aggiungono – si era inoltre accertata “un’evidente presenza di vegetazione spontanea” nella parte superiore delle balle di rifiuti in plastica “già sottoposti a lavorazione” e per i quali la ditta dichiarava trattarsi di “deposito temporaneo”. Altra vegetazione era infine presente anche in alcune zone che, in base al progetto esecutivo, dovevano essere dotate di battuto in cemento».
«All’interno del capannone destinato alla lavorazione dei rifiuti, gli ispettori avevano poi fotografato
diversi cumuli di rifiuti, tra cui – sottolineano gli attivisti – un cumulo alto quattro metri nell’area destinata in planimetria a “scarico e per lavorazione”, rilevando anche l’improprio utilizzo delle ecoballe“ come delimitatori tra i rifiuti di carta e cartone e i sacchi di plastica” contenenti rifiuti». Gli ispettori, infine, avrebbero trovato rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) in un capannone in cui, secondo l’autorizzazione della Regione, avrebbero dovuto trovare spazio «esclusivamente attrezzature metalliche».
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