Protesta No Muos, ecco perché venti manifestanti sono stati assolti

Assolti per non avere commesso il fatto. È questa la decisione dei giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta per i venti attivisti del movimento No Muos. Una sentenza che ribalta quella di primo grado che, nel novembre del 2022, li aveva condannati a due anni di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali. In mezzo c’è stato un ricorso presentato dai loro legali (Giorgio Bisagna, Pierpaolo Montalto, Carmelo Picciotto, Maria Fabiano Mulè e Stefania Basile). I fatti risalgono all’1 marzo del 2014 quando era stata organizzata una manifestazione di protesta in contrada Ulmo, davanti alla sede della base americana che si trova all’interno della Riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi (nel Nisseno). Un luogo che è ritenuto un sito di importanza comunitario dove è stato costruito il sistema di telecomunicazione militare Usa

Per l’accusa, i venti giovani, insieme ad altre persone rimaste ignote, sarebbero state responsabili di violenza nei confronti di alcuni agenti nel corso della manifestazione No Muos. In particolare, avrebbero spinto i poliziotti in modo violento per costringerli a liberare il presidio di uno dei cancelli della base militare statunitense e li avrebbero anche colpiti con calci e pugni. Inoltre, avrebbe lanciato sassi, un fumogeno, una chiave inglese di ferro, un moschettone di metallo e un ombrello. Un poliziotto era rimasto ferito al volto, con una prognosi di dieci giorni. Infine, sempre secondo la tesi dell’accusa, gli attivisti avrebbero pure violato il divieto di non oltrepassare la strada asfaltata oltre il recinto della base militare americana di Niscemi.

«Noi oggi conquisteremo il nostro territorio, daremo la dimostrazione di cosa vuol dire essere No Muos, non ci fermiamo, non indietreggeremo». Per frasi come questa, dette al megafono, uno degli attivisti era stato accusato di avere istigato gli altri manifestanti a disobbedire alle prescrizioni e ai divieti di non andare oltre il percorso che era stato autorizzato dal questore di Caltanissetta. «Un passo avanti tra tre minuti, conquisteremo ancora. Questi sono qui a pensare di poterci fermare […] I loro divieti sono fatti per essere violati. Pensano di poterci intimidire con quattro manganelli». Un giovane era stato rinviato a giudizio nel 2015 per avere acceso e lanciato un petardo contro gli agenti; un altro pe un fumogeno. Alcuni dei manifestanti sarebbero stati con il volto coperto con sciarpe, passamontagna e giubbotti con cappuccio.

Ed è proprio quello della mancata identificazione degli imputati uno dei motivi per cui i legali della difesa hanno presentato ricorso alla sentenza di condanna. Il riconoscimento dei giovani finiti imputati in un processo, infatti, sarebbe avvenuto solo a posteriori: quando gli agenti della Digos di Caltanissetta, Catania, Messina, Ragusa e Palermo, hanno guardato i fotogrammi estratti dalle riprese video. «Una visione – scrivono gli avvocati della difesa nell’appello – guidata dalla circostanza che gli attivisti dei centri sociali erano già noti alla Digos». Insomma, alla base del riconoscimento ci sarebbe stata la conoscenza personale e un ragionamento logico-deduttivo. Tra l’altro nel corso di una manifestazione molto partecipata dove, come gli stessi agenti hanno riferito quando sono stati sentiti a processo, c’era «una grandissima confusione». Gli avvocati si sono poi appellati anche al mancato riconoscimento delle attenuanti dell’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale o dell’avere agito per suggestione di una folla in tumulto. «Gli eventuali effetti nocivi delle radiazioni elettromagnetiche provenienti dalla stazione di terra del Muos – concludono i difensori – potrebbero riversarsi sia sulla salute della fauna selvatica locale che su quella degli abitanti».


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