I racconti dei disabili davanti ai video delle torture subite «Non sapevo difendermi. Mi umiliavano per farsi grandi»

Torture gratuite e condotte inumane e degradanti nei confronti di tre disabili contro cui un gruppo di giovani licatesi si sarebbe accanito «senza alcun motivo – né economico, né vendicativo, né sentimentale – se non quello del soddisfacimento del proprio gusto sadico di infliggere umiliazioni a soggetti inermi per poi riprendere le angherie con gli smartphone e pubblicare i video sui social, magari per ottenere qualche like». Con l’accusa di tortura, sequestro di persona e violazione di domicilio ieri sono finiti in carcere il 26enne Antonio Casaccio (detto u Napoletano, per via delle sue origini campane), il 23enne Gianluca Sortino e il 36enne Angelo Marco Sortino

«Sono vittima di ripetuti insulti, aggressioni fisiche e vessazioni che sono stati anche filmati e messi su internet per essere visti da tutti, allo scopo di umiliarmi e farsi grandi». Sono le parole che un disabile di 42 anni dice ai carabinieri quando si convince a denunciare tutto, nonostante la paura per le minacce subite. «Se ti permetti ad andare in caserma a denunciarci, ti ammazziamo fino dentro casa tua». L’uomo, che dagli inquirenti è stato definito «incapace di difendersi», è uno dei tre protagonisti dei nove video. Oltre a lui ci sono anche un 68enne invalido civile e un 43enne affetto da un ritardo mentale. Solo rapporti di conoscenza superficiale quelli tra gli aguzzini (un gruppo di ragazzi e ragazze sui cui continuano le indagini) e le vittime.

È il dicembre del 2019 quando u Napoletano, insieme ad altri tre ragazzi ancora in corso di identificazione, incontra per le strade di Licata la sua vittima. Si avvicina e gli spalma sulla testa e sulla faccia una crema bianca che provoca l’immediata caduta dei capelli. Poi lo insegue, ride e lo sfotte: «Dove sono i tuoi capelli?». Tutta la scena finisce sui social. Violenze e vessazioni che sono andate avanti per più di un anno, sia in giro per la città che dentro casa dell’uomo, dove gli aguzzini si sarebbero introdotti anche da una finestra lasciata aperta. Schiaffi, calci, manate, sputi e colpi in tutto il corpo. «Io, purtroppo, non essendo in condizioni fisiche di potermi difendere, non potendo fare altro me ne andavo piangendo», racconta la vittima agli inquirenti. 

È dei primi giorni di gennaio 2021 l’episodio in cui il 42enne viene bloccato mentre cammina per strada. Casaccio, insieme ad altri rimasti ancora ignoti, lo trascina a terra in un vicoletto e lo lega con del nastro adesivo da imballaggio. «Io lo supplicavo (chiamandolo per nome, ndrdi slegarmi ma, continuando a ridere, mi colpivano ripetutamente con calci in tutto il corpo e poi scappavano lasciandomi a terra legato». Ed è così che la vittima resta sul marciapiede fin quando a slegarlo non è una signora che passa di là per caso. Prima di andare via uno dei ragazzi, a mò di sfottò, dice perfino: «Ma chi è stato Patrì?». È lo stesso che, subito dopo, pubblica il video sul proprio profilo accompagnato dalla didascalia «Imballaggio Bartolini consegniamo pacchi in tutta Italia. Per info contattatemi», con l’aggiunta di una emoji sorridente.

Il 23enne Gianluca Sortino avrebbe preso di mira un disabile di 68 anni. «Si è avvicinato un giovane che conosco solo di vista; lì per lì ho pensato che volesse ripararsi dalla pioggia anche lui e, invece, prima mi ha guardato e si è messo a ridere con i suoi amici come a volermi prendere in giro e poi senza nessuno motivo mi ha aggredito». Piove e il 68enne si è riparato sotto un balcone nella zona della chiesa Sette Spade di Licata. Sortino scende dall’auto, gli afferra la testa e gliela sbatte ripetutamente contro una saracinesca di ferro. «Mi è iniziato a mancare il respiro e urlavo al giovane di smetterla. Invece, lui ha continuato a picchiarmi», racconta la vittima ai carabinieri. 

Chi ha mostrato più resistenze a parlare con gli inquirenti è un 43enne affetto da un lieve ritardo mentale che era diventato «l’agnello sacrificale» di Angelo Marco Sortino. Anche quando si rivede nel video, immobilizzato su una poltrona con le mani e i piedi legati con una corda e un secchio in testa, è reticente. «Non ho nessuna intenzione di presentare denuncia. Le persone che mi hanno legato le conosco, ma non voglio fare i loro nomi. Mi accollo tutte le responsabilità perché non voglio che vengano qua in caserma a fare casino». A raccontare tutto, nonostante la paura di ripercussioni, è il padre della vittima dopo averlo visto rientrare tutto sporco di vernice verde e avere visto su internet il video del figlio legato dentro una stalla. Nel video pubblicato sul profilo Facebook Lu Pin (pseudonimo usato da Sortino) si vede il 43enne immobilizzato sulla poltrona che viene preso a bastonate e cade per terra mentre in sottofondo si sentono diverse persone che ridono. Qualcuno suggerisce: «Fagli un video», non notando che la registrazione era già stata avviata. A un certo punto, la vittima riesce a slegarsi le mani. Per le caviglie chiede aiuto ma il ragazzo che gli si avvicina, invece, stringe i lacci ancora di più. Intanto, chi fa il video chiede addirittura alla vittima di fare un saluto.

Episodi di cui gli aguzzini si sarebbero dovuti vergognare e, invece, ne facevano motivo di vanto sui social. Profili pieni di video di canzoni napoletane e neomelodiche; di frasi fatte in un italiano discutibile per dare l’idea di essere maschi alfa; di immagini di Padre Pio e altri santi con la scritta “Se credi in me, condividimi“; video con la vana pretesa di fare ridere; e saluti e pensieri di «presta libertà ai fratelli ingiustamente detenuti». Quello del Napoletano (che è anche padre di due figli che mette bene in mostra) da ieri non esiste più. Gli altri due – anche quello usato dal 36enne con lo pseudonimo Lu Pin – invece, sono ancora visibili. Qualche giorno prima di essere arrestato, Gianluca Sortino ha anche pubblicato la foto di un’ecografia con l’annuncio


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