Dal 2010, il re dell'eolico non va più nel palazzo di viale Campania. A fare da tramite con il dirigente Alberto Tinnirello è un funzionario che porta avanti «un patto corruttivo tutt'altro che isolato». A lui l'imprenditore dice di avere consegnato i contanti
Giacomino, il funzionario regionale a servizio di Arata-Nicastri «L’olio degli ingranaggi, già pagati centomila euro in contanti»
«Lui è uno che porta le cose al compimento, è l’olio degli ingranaggi Giacomino». È questa la definizione che dà il consulente della Lega Paolo Arata parlando con suo figlio Francesco di Giacomo Causarano, funzionario regionale in servizio al Servizio III del dipartimento dell’Energia, quello che si occupa di Autorizzazioni e concessioni, e centro nevralgico per chiunque voglia fare affari in Sicilia con le energie rinnovabili. È lui l’interfaccia tra il gruppo Arata-Nicastri e il dirigente Alberto Tinnirello a partire dal 2010, cioè da quando il re dell’eolico Vito Nicastri – coinvolto in vicende giudiziarie relative ai primi sequestri patrimoniali – non va più negli uffici del palazzo di viale Campania per «non essere visto o notato» e non rischiare di attirare «attenzioni investigative».
A contribuire inmaniera determinante ad aprire il vaso di Pandora è la decisione di Nicastri di parlare ai magistrati. Finora ha reso due interrogatori in cui è partito dall’ammissione di un «patto corruttivo tutt’altro che isolato, bensì collocabile in una impressionante corruzione sistemica volta a “comprare” le funzioni pubbliche in vista di un lucroso affare imprenditoriale» che avrebbe fruttato al gruppo un guadagno tra i 10 e i 15 milioni di euro. A fronte di questo ci sarebbe una tangente da mezzo milione di euro. «A Causarano consegnavo con una frequenza quasi mensile somme di denaro in contanti», ha dichiarato Nicastri durante uno dei sui interrogatori.
Nelle mani di Giacomino (destinati anche a Tinnirello e ad altri pubblici funzionari su cui sono in corso ulteriori accertamenti) sarebbero stati consegnati centomila euro in tranche da 10, 12mila euro in banconote da 50 e 100 euro. «In alcune occasioni anche da 500 euro ma Causarano ci disse che non erano gradite da Tinnirello e, dunque, fu ridotta la pezzatura», ricostruisce Nicastri, malgrado il gruppo avesse interesse a liberarsi di quelle banconote: «Ce li dobbiamo spendere piano piano, perché sti cosi fra altri quattro giorni non esistono più». I rimanenti 400mila euro avrebbero dovuto essere versati, al momento dell’autorizzazione alla costruzione degli impianti di biometano, con un bonifico in un conto nella disponibilità di Tinnirello a Malta, dove il dirigente avrebbe interessi societari.
Molteplici sarebbero stati gli incontri riservati tra Giacomino e il gruppo per discutere dell’avanzamento delle richieste e delle strategie per mascherare la partecipazione occulta di Nicastri nelle iniziative riconducibili ad Arata. A convocare Causarano «al solito posto», ovvero nell’ufficio di Alcamo dove avevano sede operativa tutte le società di Nicastri e Arata, sarebbe stata una segretaria che, sentita dagli inquirenti, ha confermato di avere ancora memorizzato nella rubrica del proprio cellulare il numero di Causarano che contattava quasi esclusivamente su Whatsapp.
Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip di Palermo, Tinnirello ha negato l’esistenza di un rapporto fiduciario con Causarano spingendosi ad affermare di essersi attivato per farlo trasferire a un altro servizio (il IV, quello dei rifiuti). Circostanza smentita non solo da alcune intercettazioni ma anche dalle dichiarazioni dell’ingegnere Tuccio D’Urcio. Stando a quanto riferito dal dirigente generale del dipartimento Energia dell’assessorato, sarebbe stato proprio Tinnirello invece a bloccare lo spostamento «per fare in modo che non lasciasse gli affari amministrativi che stava trattando».
A novembre 2017 Causarano comunque viene trasferito. Ciò avrebbe suscitato le proteste di Tinnirello che si sarebbe visto «privato del suo fidato tramite con il gruppo Arata-Nicastri». Anche se, di fatto, Causarano sarebbe rimasto alle dipendenze del dirigente che avrebbe insistito con D’Urso per riaverlo. Dopo esserci riuscito, gli avrebbe affidato «compiti e incarichi di lavoro non adeguati alla qualifica di collaboratore. In pratica, a Causarano furono assegnate mansioni da funzionario direttivo». Superiori, dunque, rispetto a quelle rivestite in precedenza. «Siamo messi bene, vediamo anche soprattutto per le cose nuove», dice Manlio Nicastri (il figlio di Vito) parlando con Francesco Arata dopo che Causarano era tornato al suo posto.