Strage Pizzolungo, l’auto di  Carlo Palermo tra i rifiuti Ex magistrato: «Offesa per le vittime di Cosa nostra»

Dal parcheggio del tribunale all’autoparco comunale di Trapani, abbandonata in un angolo in mezzo ad un cumulo di rifiuti. Quella verso l’oblio è  l’ultima strada percorsa dalla Fiat 132 del giudice Carlo Palermo. Poco rimane della vettura sulla quale l’ex magistrato viaggiava il 2 aprile del 1985, quando il suo destino si è incrociato con quello di Barbara Rizzo e i suoi gemellini Giuseppe e Salvatore Asta, vittime dell’attentato mafioso di Pizzolungo. Il tritolo uccise la giovane mamma e i suoi due bimbi, che si trovavano nell’auto che fece scudo a quella blindata dove viaggiava l’ex magistrato che si salvò miracolosamente. 

La vettura sulla quale viaggiava Palermo, sequestrata dal tribunale di Caltanissetta che ha coordinato le indagini, per anni è rimasta nel parcheggio del tribunale del capoluogo. Da oltre vent’anni la Fiat 132 si trova abbandonata, ridotta ad cumulo di ferraglia arrugginita, in balìa delle intemperie e circondata dai rifiuti. Della vicenda ha provato ad interessarsi l’ex sindaco della città falcata Vito Damiano e, più recentemente, l’ex candidato alla poltrona di primo cittadino Bartolo Giglio, che assieme all’associazione Alfa Omega lo scorso anno, dopo aver contattato il tribunale di Caltanissetta, aveva anche scritto al ministero di Grazia e Giustizia chiedendo il permesso di recuperare la carcassa dell’auto ed esporla, così come fatto con l’auto di Giovanni Falcone

Ad oggi però, nulla si è mosso. Il rischio è quello che perdendo altro tempo non si possa più recuperare la vettura che già versa in pessime condizioni. «Le immagini – dice Carlo Palermo a MeridioNews – sono squarci della realtà. Dal luogo della strage fino alla discarica dell’autoparco comunale – prosegue l’ex magistrato -, l’immagine rappresenta il una eloquente immagine del progressivo silenzio che è calato su quella storia. Testimonia il disprezzo – conclude Palermo – per il ricordo e la memoria degli onesti, delle vittime della mafia e delle omertà dello Stato». Di altro tenore il commento di Margherita Asta, che nell’attentato ha perso la madre e i fratelli. «Per me non ha nessun significato – commenta a MeridioNews -. Per anni quell’auto è stata nel parcheggio del tribunale come per lanciare un messaggio agli altri magistrati, ma rispetto e sono d’accordo con chi chiede che venga recuperata ed esposta in luogo sicuramente migliore».


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