Aquarius, il Riesame non riconosce il traffico di rifiuti Condotte di Msf e Gianino illecite ma non organizzate

I rifiuti a bordo delle navi Aquarius e Vos Prudence erano in parte infetti e, in quanto tali, sono stati più volte trattati in maniera inadeguata, ma comunque non si può parlare di traffico illecito. È questa la posizione dei giudici del tribunale del Riesame che ha disposto la restituzione dei beni sequestrati all’agente marittimo augustano, Francesco Gianino, finito a novembre tra gli indagati dell’inchiesta Borderless

L’uomo, che è titolare dell’agenzia Msa, è accusato dalla procura di Catania di essere stato pilastro del sistema che avrebbe permesso alle organizzazioni non governative attive nel Mediterraneo di risparmiare sui costi di conferimento dei rifiuti prodotti durante le operazioni di salvataggio dei migranti. Vantaggio quantificato in oltre 400mila euro che sarebbe derivato non solo da tariffe ultraconcorrenziali – otto euro al sacco – ma soprattutto dal fatto di trattare tutti i rifiuti come indifferenziati generici, dopo avere concordato con i responsabili della nave l’omissione nelle dichiarazioni della presenza di materiale sia sanitario che potenzialmente infettivo.

Sul punto, il Riesame ha rigettato la tesi della difesa di Gianino, rappresentata dall’avvocata Dina D’Angelo, che aveva messo in dubbio le modalità con cui i rifiuti erano stati qualificati come pericolosi, mentre ha accolto i rilievi riguardanti il calcolo del presunto profitto che Gianino e ong avrebbero ricavato dalle loro condotte. «Dal principio ci era parsa improbabile la cifra imputata dalla procura come guadagno del presunto illecito – dichiara a MeridioNews la legale di Gianino -. Analizzando le carte, abbiamo scoperto che era stata interpretata malamente una norma contenuta nella convenzione Marpol e il giudice ha riconosciuto pienamente la fondatezza delle nostre osservazioni». 

La normativa a cui fa riferimento l’avvocata è la convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi che in Italia è stata accolta a inizio anni Ottanta e che viene richiamata nella legge del 2003 con cui il governo ha recepito la direttiva europea sugli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico. Nello specifico, il Riesame ha dato ragione alla difesa di Gianino sul fatto che per quantificare il presunto profitto illecito si è fatto riferimento a un passaggio della Marpol che regola, invece, le condizioni con cui gestire i casi in cui è consentito scaricare in mare. Ovvero: quando a finire in acqua sono rifiuti classificabili in diverse categorie, bisogna seguire le indicazioni più stringenti. Ciò però, a differenza di quanto sostenuto dai magistrati etnei, non avrebbe alcun rimando ai costi dello smaltimento a terra dei rifiuti.

L’altro punto essenziale su cui poggia il dissequestro dei beni di Gianino è la mancanza di elementi per determinare l’esistenza di una struttura organizzata al punto da configurare il traffico di rifiuti. «L’attività compiuta dall’equipaggio delle imbarcazioni – scrivono i giudici – consisteva semplicemente nella collocazione dei rifiuti all’interno dei sacchi e nello scarico sottobordo. Si tratta di condotte obiettivamente semplici, difficilmente classificabili alla stregua di attività organizzate». Per il Riesame, inoltre, il fatto che la tariffa di cui beneficiava chi operava tramite l’intermediazione della società di Gianino fosse conveniente non è utile a dimostrare che fosse finalizzata a uno smaltimento illecito. E questo per una serie di motivi: dalla constatazione che la Gespi – la società che gestisce l’impianto dove finiscono i rifiuti che escono dal porto di Augusta – avesse accordi simili con tutte le navi che approdavano nel porto del Siracusano al fatto che gli otto euro a sacco fossero stati pattuiti da Gianino in primo luogo per Save the Children (ong non toccata dall’inchiesta) e, solo dopo, estesa anche alle altre organizzazione non governative.

Mentre la procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro – che ha iniziato di indagare ipotizzando i reati di contrabbando di gasolio e ricettazione di alimenti, alcolici ed elettrodomestici – ha annunciato il ricorso in Cassazione contro il dissequestro, sullo sfondo dell’inchiesta resta una questione che, seppure al momento rigettata dallo stesso Riesame, potrebbe tornare protagonista nel prosieguo della vicenda giudiziaria. Si tratta della possibilità che la convenzione Marpol possa non essere obbligatoria per le ong, in quanto nel momento in cui finiscono sotto la regia della guardia costiera di Roma andrebbero considerate come navi gestite dallo Stato. «Per noi ciò comporta la non obbligatorietà di dichiarazione e conferimento in ogni singolo porto dei rifiuti, fermo restando la capacità di stoccaggio della nave», conclude l’avvocata Dina D’Angelo.


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