Il consenso gravitante attorno ai clan sarebbe stato utile per l'elezione in un caso del sindaco e nell'altro di una consigliera. La criminalità organizzata, dal canto suo, avrebbe avuto tanto da guadagnarci: dagli appalti ai favori personali. Nemici comuni per cosche ed esponenti politici sarebbero stati «comunisti e grillini»
Inchiesta Montagna, contatti tra Cosa nostra e politica Le trattative per le elezioni a San Biagio e Cammarata
Sostegno a persona di fiducia, candidatura di propri uomini o trattative con tutti gli schieramenti raggiungibili. Un modo per mettere le mani nella pubblica amministrazione, la mafia, lo avrebbe comunque trovato. Nell’inchiesta Montagna, che ieri ha portato all’arresto di 56 persone, i rapporti tra la politica e i vertici delle famiglie di Cosa nostra attive nell’Agrigentino tornano a più riprese. Con l’apice raggiunto a San Biagio Platani, piccolo centro i cui abitanti ieri si sono svegliati con la notizia dell’arresto del sindaco Santo Sabella. Eletto nel 2014 alla guida della lista civica San Biagio nel cuore, avrebbe beneficiato del sostegno della cosca locale per riuscire a imporsi nella competizione elettorale. Un rapporto che Sabella avrebbe portato avanti nel tempo e che avrebbe riguardato soprattutto la gestione degli appalti. Principale interlocutore del primo cittadino sarebbe stato Giuseppe Nugara, 52enne ritenuto il reggente del clan di San Biagio Platani.
Nell’ordinanza che ha disposto gli arresti, si spiega come nei due mesi intercorsi tra le dimissioni dell’allora sindaco Filippo Bartolomeo e la vittoria di Sabella, la mafia si sarebbe mossa per cercare di ottenere una posizione di riguardo dal voto. Nugara e i propri sodali – su tutti Raffaele La Rosa, anche lui arrestato – in più occasioni avrebbero discusso di come fare eleggere persone fidate nel nuovo consiglio comunale: «Ci dobbiamo mettere le persone giuste se no niente», dice Nugara a La Rosa. I due commentano gli scenari futuri immaginando che si tratterà di un confronto tra due schieramenti. «Un partito solo non lo può fare, sempre due liste si faranno sicuramente. Però, ora c’è il però! Non è che si può andare di nuovo con queste persone, non possono essere le stesse persone», sottolinea Nugara. Per gli inquirenti, i colloqui con Sabella in un primo momento sarebbero stati di carattere generale: discussioni sul candidato da appoggiare. In quella fase, infatti, Sabella non era sicuro di proporsi come sindaco. La questione nomi, tuttavia, non sarebbe stata un problema. «Quando si fa l’accordo devo essere presente io», avverte Nugara. Uno degli obiettivi condivisi dal presunto reggente e dal politico sarebbe stato evitare che a vincere fossero la sinistra o i cinquestelle. «Se no ci vanno i comunisti, non lo possiamo permettere. Se ci dividiamo sono i favoriti e noi queste cose non le possiamo permettere. Con i grillini abbiamo la caserma», avverte Sabella, sottolineando l’esigenza di fare fronte comune. Dal canto suo, Nugara avrebbe giocato una partita doppia: accanto alle trattative con Sabella, avrebbe portato avanti il sostegno nei confronti di una candidata consigliera – poi eletta – dello schieramento avversario. «Con Santino (Sabella, ndr) siamo in buoni rapporti, però siccome questa volta si è candidata dall’altra parte la consigliera nostra… però noi abbiamo vinto», commenta dopo gli scrutini.
Archiviato il capitolo elezioni, gli accordi si sarebbero manifestati sotto forma di ingerenze nella gestione degli appalti. Come nel caso dell’impresa Comil di Favara. Tra Sabella e Nugara ci sarebbero state pure divergenze d’opinione. Stando infatti alla ricostruzione degli inquirenti, il primo in campagna elettorale avrebbe fatto leva sui futuri cantieri da aprire per cercare consenso elettorale, assicurando assunzioni che però poi non si sarebbero concretizzate. O quantomeno non nella misura che il primo cittadino si sarebbe aspettato. A fermare il malumore di Sabella sarebbe stato Nugara. «Stiamo cercando di non dargli problemi, siccome sono amici tu non gli devi creare problemi», chiarisce il presunto capomafia. Storia diversa, invece, è quella riguardante la ditta Filippo Cipolla, fratello di uno degli arrestati. La società, grazie ai buoni uffici di Nugara e il beneplacito del sindaco, sarebbe riuscita a lavorare ai preparativi della festa degli archi pane, che a San Biagio Platani da tradizione si svolge nel periodo pasquale, ancora prima che la ditta Lvf si aggiudicasse la gara, per poi stipulare solo in un secondo momento un contratto di subappalto con l’impresa di Cipolla. L’intesa tra Sabella e Nugara si sarebbe manifestata anche i consigli dati dal primo per evitare di essere inquadrato dalle telecamere che si trovano in paese. Mentre entrambi si sarebbero trovati d’accordo sul tenere le distanze da un carabiniere: «È pericoloso che devi stare attento a parlarci», dice Sabella.
Ma gli ammiccamenti tra Cosa nostra e politica sarebbero avvenuti anche a Cammarata, paese che dista poco più di trenta chilometri. Qui, un anno dopo le amministrative a San Biagio Platani, si è andati al voto per l’elezione del nuovo sindaco. È il 2015 quando il pediatra Stefano Reina – arrestato con l’accusa di scambio di voti politico-mafioso – avrebbe contattato con Calogerino Giambrone, ritenuto dagli inquirenti esponente della locale famiglia mafiosa, per chiedere il sostegno elettorale nei confronti della moglie candidata. Moneta di scambio, in un primo tempo, sarebbe dovuta essere un contratto di fornitura di caffè per il bar gestito del cognato di Reina in un’area di servizio. Accordo che sarebbe saltato, ma che non avrebbe pregiudicato il rapporto tra i due. Con il medico che, festeggiata l’elezione della moglie, sarebbe andato a ringraziare Giambrone. Con tanto di rassicurazione: «Non pensare che adesso che sono finite tutte cose io non ti conosco più, perché non sono il tipo», dice Reina, senza sapere di essere intercettato.