I Santapaola a Messina, il business delle scommesse Partite di serie A, corse di cavalli e interessi a Malta

Il gip Salvatore Mastroeni nelle 571 pagine dell’ordinanza dell’operazione Beta parla di mafia 2.0 e dei nuovi esponenti. A Messina il potere della cellula mafiosa di Cosa nostra sarebbe retto da Vincenzo Romeo, nipote di Nitto Santapaola, definito dal gip come un «diamante grezzo».

Le attività economiche di cui parla il gip Mastroeni e di cui hanno parlato in conferenza il comandante dei Ros, Giuseppe Governale, e il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita sono legate principalmente all’aggiudicazione di concessioni in materia di gioco e scommesse. Da quelle sulle corse dei cavalli fino alle partite di serie A, passando per il core business dei videopoker. 

«Un affare già dal costo base di decine di milioni di euro, dai profitti illimitati, e rischi bassi, che vede la partecipazione di associazioni mafiose palermitane (i Lo Piccolo, i Vernengo e chi rappresentano), una piccola concessione arriverà anche a un nipote di Matteo (Messina Denaro, così indicato dal Romeo), associazioni catanesi, della ‘ndrangheta del Tirreno, della Sacra corona unita e dei messinesi».  

Il clan Romeo si sarebbe mosso lungo due diverse direttrici. L’installazione e la gestione presso diverse sale giochi controllate dal clan di apparecchiature, con o senza connessione telematica, che permettono la partecipazione al gioco a distanza, in assenza di alcuna concessione e autorizzazione. E l’acquisizione di ingenti proventi illeciti tramite i canali delle scommesse on line su portali esteri. Romeo avrebbe espletato le operazioni concernenti questo settore tramite le società Start srl, Win Play soc. coop di cui risulta dipendente e tramite la Bet Srl. La prima e la seconda società sono riconducibili a Caterina Di Pietro, moglie di Romeo, mentre la terza è riconducibile a Giovanni Marano. 

«Oltre ad essersi avvalso di svariate imprese e concessioni intestate a prestanome, Romeo si è dimostrato il terminale di una schiera di “operatori di settore” alle sue dipendenze, per organizzare e far funzionare tale lucrosa attività. Lo stesso ha costituito un punto di riferimento per la sua famiglia e per tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione ed il funzionamento di tale settore economico». La rete di gestione finanziaria di questo settore, riconducibile alla famiglia Santapaola Romeo, per il gip ha una proiezione extranazionale

Il territorio che ospita le sedi delle società, che gestiscono materialmente i server di raccolta delle scommesse collegate ai terminali in uso agli esercizi commerciali controllati dagli indagati, è quello di Malta, dove «operano soggetti in nome e per conto del sodalizio nell’attività telematica di raccolta delle scommesse, in quella burocratico/amministrativa connessa alle intestazioni dei siti a prestanome all’uopo incaricati e, soprattutto, nella gestione dei proventi maturati sui territorio italiano e fatti arrivare in loco in modo clandestino al di fuori di qualsiasi controllo del sistema fiscale italiano». 

Tanti poi i bar o i ritrovi dove Romeo avrebbe avuto disponibilità di locali e apparecchiature per il gioco: Millenium sport group in via Pietro Castelli; il locale Copacabana, in via Guglielmo Pepe; Accademia del biliardo, in via La Farina; Bar Ustica, in via comunale a Santa Margherita; Biliardi Sport, in via Giordano Bruno; bar di Tania Catanzaro; Piazza Point di Tiziana Grosso; la pizzeria bar birreria Ritrovo Rowenta a Torre Faro; il punto scommesse ‘Gold bet FSA e Pool Direction in via Rinascita a Valdina.

Gli interessi del clan sono anche nelle scommesse sugli eventi calcistici, per massimizzare i profitti poteva contare da anni su un sistema ormai consolidato di “combine” anche nella massima serie italiana. In un’intercettazione telefonica emerge che nel 2010 la famiglia mafiosa aveva dato indicazioni per scommettere sul pareggio per uno a uno nella partita di serie A Chievo-Catania, risultato poi effettivamente verificatosi nella 29esima giornata del campionato di calcio di serie A giocata il 21 marzo 2010. «Appare inquietante – scrive il gip – che dietro questa vicenda vi fosse la “famiglia”, ossia la famiglia di cosa nostra catanese operante e ben radicata anche a Messina». 

Altro settore nel quale la famiglia mafiosa Romeo ha manifestato uno specifico interesse è quello delle corse clandestine dei cavalli e delle scommesse illecite collegate. «Questo fenomeno – scrive il gip – noto praticamente a tutti, da chi abbia avuto la disavventura di “incocciarvi”, i messinesi svegli alle prime ore del mattino, ed abituati, in ogni punto della città, a sentire il clop clop dei cavalli sul selciato stradale». 

Un ruolo di primo piano, nell’acquisto di cavalli da far competere, sarebbe stato ricoperto da Benedetto Romeo, fratello di Vincenzo. Ma sono coinvolti anche Francesco, Gianluca, Antonio e Maurizio Romeo, tutti impranentatai tra di loro, insieme ad Antonio Rizzo e Salvatore Lipari. Si sarebbero occupati dell’organizzazione, con regolarità ed assiduità, delle competizioni clandestine e del giro di scommesse correlate. Gli stessi avrebbero altresì acquistato e gestito direttamente gli animali (Antonio, Vincenzo e Francesco Romeo si sarebbero recati ad Adrano per acquistare un esemplare) ed i luoghi di ricovero degli stessi, somministrando loro medicinali, sottoponendoli a sevizie e crudeltà di ogni tipo.


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