Almaviva, il Natale in bilico tra Palermo e la Calabria «Delusi e amareggiati, viviamo con senso di angoscia»

«Siamo arrabbiati, delusi e amareggiati. Affrontiamo questi giorni con uno spirito pesantissimo. Nessuno vuole sentire  parlare di feste di Natale, persino i miei figli sono vittime di questa clima. Abbiamo fatto tutto quello che c’è stato chiesto, ma siamo stati scartati, una sessantina di lavoratori tagliati fuori, di disperati e dimenticati perché in questo momento ci sono altre priorità. Penso ai licenziamenti a Roma, ma anche noi molto presto non avremo più un lavoro perché trasferirsi è impensabile e faremo la stessa fine. Siamo tra i più anziani, molti tra i primi assunti, una fine così non se l’aspettava nessuno. Viviamo questi giorni con un senso di angoscia, di solitudine e disperazione che solo i miei colleghi possono comprendere». Trattiene a stento l’amarezza Vanessa Lupo, una tra i 60 dipendenti palermitani di Almaviva Contact che, alla vigilia di Natale, sono ancora in bilico tra il licenziamento e il trasferimento a Rende, tagliati fuori dal passaggio dalla commessa Enel ad Exprivia. Lavoratori della sede di Palermo rimasti esclusi dalla selezione perché su oltre 300 candidature, Exprivia si è dichiarata disponibile ad assumerne solo 257: se non si recheranno a Rende, dove già risultano dipendenti, non presentandosi in servizio saranno licenziati.

Nel frattempo, prosegue lo sciopero indetto per 23 giorni da sindacati e lavoratori, dal lunedì scorso al 10 gennaio, per evitare che vengano licenziati i lavoratori che dovevano trasferirsi il 19 dicembre. Vanessa rientra nella seconda tranche che, in base agli accordi, dovrebbe prendere servizio a partire dal 9 gennaio, ma lei ancora non sa cosa farà. Da un lato non vuole trasferirsi, lasciare qui due figli di 9 e 12 anni e il marito, ma dall’altro non può nemmeno rinunciare a uno stipendio che le consente di pagare il mutuo della casa di Palermo. «Il trasferimento – prosegue – riguarda per lo più lavoratori part time a 6 o 4 ore e per noi sarebbe impensabile l’ipotesi di affittare una casa in un’altra città. Nel frattempo i soldi che guadagno servono per provvedere al mutuo dell’appartamento dove viviamo. Faccio fatica ad arrivare a fine mese anche con l’aiuto di mio marito: anche lui lavora in Almaviva ma, fortunatamente, non per la commessa Enel. In questo momento penso ai miei colleghi che dovrebbero essere già partiti, una ventina, ma che la momento sono a Palermo in sciopero: loro ancora più disperati, ma in realtà siamo tutti nella stessa barca».

Vanessa, che lavora in Almaviva da quasi 16 anni, nella storica sede di via Marcellini, è stata sempre impiegata per la commessa Enel e mai avrebbe immaginato un simile epilogo: «Perché dobbiamo rimanere soltanto noi scartati fuori dalla salvezza? Nessuno di noi vuole andare a Rende, perché dobbiamo piangere proprio noi? Non c’è stata alcuna graduatoria, ma solo una selezione. Non ci sono parole, non ce lo meritiamo, esser ripagati così solo perché chiude una commessa è assurdo. Siamo tra i più anziani, molti tra i primi assunti, una fine così non se l’aspettava nessuno». E così, anche il giorno di Natale, tra una fetta di panettone e i regali sotto l’albero da scartare, il pensiero andrà sempre alle assemblee e alla voglia di vincere la battaglia per il posto di lavoro una volta per tutte: «In questo momento non stiamo vivendo il Natale, non c’è quell’atmosfera. Persino i miei figli vivono da settimane terrorizzati: più di volta ho dovuti rassicurarli che la loro mamma non se ne andrà via». 

Rimane ineluttabile l’angoscia del dopo: cosa accadrà a partire da 9 gennaio? «Al momento stiamo ragionando con gli avvocati e con i sindacati, per cercare di capire se sussistono i margini per un secondo accordo: in questo momento siamo compatti e nessuno vuole arrendersi. Però ci sentiamo abbandonati, il pretesto del trasferimento è stato usato come ricatto per farci licenziare, non potendo usare altri strumenti. La verità è che da anni stanno facendo di tutto per ridurre i nostri salari ma, più che la delocalizzazione, la sensazione è che vogliono portare l’Albania in Italia, al punto tale da pagarci sempre meno con il ricorso alla clausola sociale. Ormai hanno capito che il call center di qualità deve esser gestito da italiani – conclude – ma loro vogliono pagare sempre meno e rendere il lavoro sempre meno dignitoso».


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