In vista della manifestazione del 9 marzo nel capoluogo etneo, una parte del movimento di pastori siciliani prende le distanze, in particolare dal Palermitano e dal Trapanese. Una scelta legata anche alla nascita del tavolo regionale annunciato da Musumeci
Allevatori, si divide il fronte della protesta «Ci ascoltano, perché bloccare le strade?»
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Ne abbiamo discusso e abbiamo deciso di non aderire alla manifestazione che si terrà a Catania. Perché vogliamo lottare per i nostri diritti ma in maniera pacifica, nessuno vuole la guerra. Specialmente con lo Stato». Si spacca in Sicilia il fronte della protesta dei pastori a cui, recentemente, si sono uniti anche gli agricoltori. Nata sulla scia delle rivendicazioni degli allevatori sardi, anche nell’Isola sono state numerose le manifestazioni ma sempre non violente, al contrario di quanto è successo nella vicina isola. Due le richieste principali: l’aumento del prezzo del latte e del grano, rispettivamente a 65 centesimi al litro e 17 centesimi al chilo. Ma dopo i presidi a Poggioreale, Dittaino, Vittoria e l’altro ieri lungo la statale Palermo-Sciacca, il movimento spontaneo di allevatori della parte occidentale della Sicilia – province di Agrigento, Trapani, Palermo e Ragusa – ha deciso di non prendere parte al corteo annunciato per sabato 9 marzo al porto di Catania.
«Siamo in contatto con i pastori sardi e anche loro si dissociano dall’escalation di atti vandalici che si sono verificati in queste ultime settimane», ha detto
Domenico Bavetta, imprenditore agricolo di 37 anni, che ha guidato una delle prime manifestazioni lanciate sui social e che ora frena. «Forse qualcuno vuole gettare discredito sul movimento ma noi non facciamo queste cose: versiamo il nostro latte ma non bruciamo i mezzi degli altri. Come comitato dei pastori siciliani, quindi, abbiamo deciso di non prendere parte al presidio nel capoluogo etneo. Ci sono giunte voci anche di un’altra protesta per il 30 marzo a Palermo, e ci dissociamo anche da quella». Una posizione dettata probabilmente anche dalla consapevolezza che un obiettivo sembra finalmente raggiunto.
Il 19 febbraio, infatti, il governo ha incontrato a Palazzo d’Orleans le associazioni di categoria: come anticipato durante la riunione, con la
delibera del 26 febbraio scorso, la giunta ha dato l’ok per un tavolo della filiera zootecnica siciliana a cui potranno essere invitati a partecipare, di volta in volta «i soggetti, individui o organismi pubblici o privati, attivamente coinvolti nella filiera zootecnica isolana». E come primo atto ufficiale, sarà chiesto di sottoporre all’attenzione del ministero competente le criticità del settore ovi-caprino siciliano. «La Regione ha finalmente ascoltato le nostre richieste e ora vogliono discuterne con noi», prosegue Bavetta che si dice soddisfatto, ma poi puntualizza: «Musumeci ha incontrato le associazioni di categoria da cui non ci sentiamo rappresentati perché non ci hanno mai difeso. Faremo sentire finalmente la nostra voce che arriverà a Roma. Ora che qualcuno ci ascolta – conclude – perché dobbiamo bloccare le strade?».
A pensarla diversamente, però, sono proprio gli allevatori che hanno promosso la manifestazione nel capoluogo etneo pensata per «sensibilizzare i consumatori a scegliere prodotti italiani e soprattutto del made in Sicily». «Abbiamo lanciato la protesta con un annuncio pubblico su Facebook», spiega Carmelo Galati, vice presidente dell’associazione Unione allevatori Sicilia, che aggiunge: «Ho sentito altri allevatori del Trapanese e del Palermitano, e da quelle province verranno in pochissimi. Sinceramente non capisco perché fermarsi, nessuno vuole scontri, ma la nascita del tavolo tecnico non mi sembra un motivo sufficiente: non è questa la soluzione. Vogliamo sentire anche quello che ha da dire il governo nazionale. In un certo senso – conclude – continuando con azioni simboliche non violente daremo una mano al governo regionale a sostenere le nostre istanze in maniera più decisa».