Agnese Moro e la lettera inviata a Giovanni Impastato «Loro due erano molto diversi, ma i valori li univano»

Il 9 maggio 1978 è stata una pagina doppiamente buia per la storia della nostra Repubblica: a Roma le Br avevano ucciso e fatto trovare il corpo di Aldo Moro in via Caetani, a metà strada tra la sede del palazzo della Dc e il quartier generale del Pci, punito così per aver fatto da sponda al compromesso storico. In Sicilia, nel piccolo paese di Cinisi, in provincia di Palermo, feudo indiscusso del boss Gaetano Badalamenti, quel che restava del corpo di Peppino Impastato veniva prima infangato dalle ombra di un depistaggio, poi dimenticato per decenni dalla giustizia. Lui che la mafia l’aveva combattuta nel perimetro delle mura domestiche, schierandosi contro il padre che lo aveva rinnegato, mentre la madre, Felicia, da vera combattente, una volta arrivate le condanne ai mafiosi Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti aveva confessato «finalmente posso morire». 

Negli anni quell’attivismo è stato raccolto dal fratello Giovanni che, aiutato dal film di Marco Tullio Giordana, ha saputo evitare l’oblio e portare migliaia di giovani a Cinisi, a Casa Memoria. Lungo quei 100 passi simbolici sul corso di Cinisi che separava la loro abitazione da quella di Tano seduto come Impastato definiva, irridendolo, il boss Badalamenti dai microfoni di Radio Aut. Un percorso simbolico che corre parallelo a quello dell’omicidio di Aldo Moro, in un doppio anniversario tragico per il nostro Paese che la figlia di Aldo Moro, Agnese, ha sottolineato: «Mi spiace che le nostre lacrime, dal ’78, abbiano coperto le vostre. Del resto mi pare che né voi né noi abbiamo mai avuto la possibilità di piangere davvero i nostri cari uccisi. Abbiamo dovuto da subito tutelarli, proteggerne la memoria, far capire chi erano e perché sono morti. Chiedere per loro giustizia e ottenerla, con tanta fatica, e solo in parte». 

Così iniziava la lettera che Agnese aveva inviato a Giovanni Impastato il 9 maggio 2012, in un ricordo commosso che lega i destini dell’attivista di Cinisi, riconosciuto giornalista postumo, e il presidente della Democrazia Cristiana. «Mi piacerebbe tanto che un giorno potessimo ricordare i nostri cari non nel giorno della loro morte – ha scritto Agnese Moro – ma nel giorno nel quale festeggiamo la nascita della nostra Repubblica, il 2 giugno. Allora avrebbero davvero il loro posto, che non è quello di vittime, ma quello di costruttori coraggiosi di un Paese in cui ci sia posto posto per tutti, con uguale dignità e rispetto. Tuo fratello e mio padre erano molto diversi. Ma qualcosa li unisce». 

«Qualcosa che viene prima e va al di là del fatto di essere stati uccisi, e per di più lo stesso giorno – si legge ancora nella missiva – Credo che entrambi amassero la giustizia e la liberazione, da ottenere con la mite e coraggiosa strada della democrazia, che è tale solo con l’assunzione di responsabilità da parte di ognuno. Come tanti, prima e dopo di loro, hanno pagato questi amori a caro prezzo. Sapevano che poteva succedere, ma non si sono fermati. Un po’ vorrei che l’avessero fatto e che non ci avessero lasciati soli. Ma era la loro strada. A noi è rimasto l’incarico gravoso di essere testimoni del loro impegno. Per fortuna oggi possiamo condividere questo onere con un numero sempre più ampio di persone, tra cui tanti giovani, che hanno trovato in Peppino e Aldo degli amici che possono accompagnarli e aiutarli a scegliere la strada giusta».


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