È nata a Catania e ci ha vissuto finché non ha intrapreso la carriera da musicista, che l'ha portata in Germania. Ritornata in Italia per diventare insegnante di sassofono a scuola, rischiava di non potere sostenere l'esame al concorso nazionale perché in attesa della sua bimba. «Lo Stato mi ha abbandonata», racconta
Agnese, la docente incinta che rischiava il ruolo «Niente tutele per una donna che deve partorire»
«Il ministero per l’Istruzione non mi ha tutelata e ho potuto sostenere la prima prova del concorso solo perché la mia bambina ha ritardato a nascere». A raccontare la sua storia è Agnese Garufi, insegnante trentenne di Catania trapiantata da sette anni a Torino per lavoro. La professoressa di sassofono, dopo diversi anni di precariato, ha presentato al Miur la domanda di partecipazione al tanto atteso concorso nazionale per l’insegnamento. Ma qualche mese dopo l’invio del plico ha scoperto di essere incinta. Il nesso che collega e complica la vicenda è la coincidenza tra il giorno previsto per il parto e quello fissato dal Miur per la prima prova d’esame. «Per questioni legate alla salute, nella maggior parte dei concorsi pubblici esistono le sessioni riservate ma in questo caso lo Stato non le ha previste», spiega Garufi. «Ciò vale a dire che, al di là del mio caso specifico, se a qualcuno a cade una tegola in testa mentre va a sostenere l’esame e viene portato in ospedale – fa un esempio – non può più partecipare alla selezione perché non c’è una seduta straordinaria».
La rabbia della docente è forte, nonostante alla fine tutto sia andato bene. «La mia bambina ancora non è nata, io sono riuscita a presentarmi alla prima prova ma mi sono sentita abbandonata da uno Stato che dovrebbe garantirmi i diritti», attacca la giovane docente. Musicista fin da piccola, ha studiato il sassofono al Conservatorio di Messina e di Roma. Dopo qualche anno – mentre seguiva percorsi formativi di tutt’altro genere – si è trasferita in Germania per specializzarsi nello strumento musicale che porta sempre con sé. «Sono rientrata in Italia soltanto per il Tfa (Tirocinio formativo attivo, ndr) necessario per abilitarsi all’insegnamento», dice la professoressa. Che qualche anno dopo l’abilitazione si iscrive nelle graduatorie per l’insegnamento in Piemonte. «Ho iniziato a fare le prime supplenze e sono stata molto fortunata perché erano annuali ma – aggiunge – l’opportunità del concorso è sempre stata per me fondamentale». Motivo per cui «appena ho notato la coincidenza tra la data del parto e quella dell’esame ho iniziato a cercare una soluzione», precisa. Anche perché «si può essere precari tutta la vita ma quando la famiglia si allarga si hanno maggiori responsabilità».
Agnese Garufi, quindi, scrive al ministero per l’Istruzione, alla corte di Giustizia europea, all’Usl piemontese, ai sindacati e ai colleghi. Cerca un supporto, vuole avere risposte ma ottiene solo porte in faccia. Qualche sindacalista si interessa, alcuni colleghi «pensano a una speculazione e dipingono l’immagine di una persona che vuole avere un po’ più tempo per studiare», sottolinea la donna. Che non chiedeva altro fuorché «la posticipazione di qualche giorno, previa presentazione di un certificato medico». Anche perché «non posso chiedere a una bambina che ancora non è nemmeno nata il favore di non farlo proprio quel giorno». Un’assurdità, quest’ultima, che ritorna spesso nei commenti di alcuni suoi colleghi: «Mi dicevano: “Parla con la tua pancia, spiegale la situazione”», racconta. «Non sapevo cosa rispondere, mi sembrava tutto surreale e mi sentivo totalmente sprovvista delle tutele che un cittadino dovrebbe avere», continua. Adesso che l’esame è andato lei conferma «l’impegno a denunciare episodi di questo tipo e a stare accanto a tutte le persone che mi hanno scritto per condividere con me la loro esperienza di esclusione. Sono ancora indignata per il trattamento ricevuto», conclude.