Aci Catena, Inps nega indennità a un’invalida E il Comune spende il doppio per assisterla

«È invalida al cento per cento, non cammina, soffre di schizofrenia paranoide ma per l’Inps non ha bisogno di assistenza continua». Nel Paese dei ciechi sui tacchi a spillo e delle sedie a rotelle part time, succede anche questo. La denuncia arriva da Aci Catena, dove una donna di 57 anni si è vista revocare l’indennità di accompagnamento nonostante le sue condizioni facciano pensare tutt’altro. I fatti risalgono al 2012, quando l’allora governo Berlusconi si fece promotore di un giro di vite sulle pensioni di invalidità. «Mia zia – racconta Francesco, il nipote della donna – ha gravi problemi di salute da tantissimo tempo. Già da quasi venti anni è invalida al cento per cento».

La storia di C.B. è quella di una vita condotta nella marginalità, segnata da problemi personali a cui, con il passare degli anni, si sono aggiunti quelli di salute: «I suoi problemi sono sia di natura fisica che psicologica – continua –. Le vicissitudini vissute l’hanno portata a sviluppare chiari sintomi di schizofrenia paranoide e a ciò va aggiunto un decadimento fisico, che ha fatto sì che già da molti anni mia zia non cammini più, sia incontinente e più in generale non possa più badare a se stessa».

Che le condizioni di salute della donna fossero particolari, d’altronde, era stato chiaro sin dal 1995 quando le fu riconosciuta l’invalidità totale: «Già allora – sottolinea Francesco – oltre alla pensione, saltuariamente riceveva l’indennità di accompagnamento, in relazione alle necessità che aveva». Con il passare del tempo, l’inabilità è diventata una costante e con essa le occasioni in cui la donna aveva bisogno di assistenza: «A metà degli anni Duemila mia zia iniziò a percepire l’indennità con costanza. Periodicamente, secondo quanto previsto dalla legge, bisognava rinnovare la richiesta ma tutto è proseguito normalmente. Addirittura – specifica il nipote – nel 2011 le fu riconosciuta l’invalidità permanente e in quel momento pensai che non avrebbe mai più dovuto fare alcuna visita di controllo».

Così però non è stato. Nel maggio del 2012, infatti, l’Inps richiamò nuovamente la donna per l’ennesima conferma nell’ambito di una serie di controlli a campione. Quell’accertamento comprendeva una visita psicologica, una psichiatrica e infine una fisiatrica. Secondo il nipote fu proprio durante quest’ultima visita che qualcosa non andò per il verso «Portai mia zia, come tutte le altre volte, sulla sedia rotelle. D’altronde, ha i femori rotti e non cammina da tanti anni. Il fisiatra completò la sua visita con una relazione piena di verbi al condizionale, che evidentemente non convinse i componenti della commissione deputata a giudicare».

Da quel momento per Francesco e la donna iniziarono i problemi: «Tra pensione di invalidità e accompagnamento – racconta – ha sempre percepito intorno a 770 euro; non erano molti ma riuscivo a farli bastare. Poi però, quando mi hanno fatto sapere che il contributo sarebbe stato decurtato di quasi 500 euro, non ho più saputo come fare per andare avanti». La scelta a quel punto è ricaduta sui servizi sociali, che proposero a Francesco di fare ricoverare la zia presso una struttura privata convenzionata, la cui retta sarebbe stata a carico dell’ente con la compartecipazione dell’assistita. Un’opzione senza alternative: «Mia zia mi chiede sempre di poter tornare a casa – specifica il ragazzo – ma con la sola pensione di invalidità sarebbe impossibile per me assicurarle tutta l’assistenza di cui ha bisogno».

In questa storia però c’è dell’altro; c’è quello che per Francesco ha il sapore dell’ingiustizia e della beffa: l’Inps, infatti, pretende che vengano restituiti i soldi elargiti immotivatamente nel periodo intercorso tra la chiamata per la visita e la chiusura della pratica per la revoca. «Siamo al paradosso – commenta il nipote della donna – verrebbe da ridere se non ci fosse di che disperarsi. Non so come andrà a finire questa storia, se l’evidenza dei fatti avrà la meglio su una gestione delle pratiche a dir poco scellerata. Quel che so è che è tutto sconfortante». Compreso venire a scoprire che, oggi, per assistere la donna presso una struttura privata convenzionata il Comune di Aci Catena paga circa mille euro al mese. Più del doppio della cifra che Francesco vorrebbe fosse ripristinata per assistere la zia nella propria abitazione.


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C. B., 57 anni, soffre di schizofrenia paranoide e non cammina da anni. Ma nel 2012 l'istituto di previdenza, non convinto dalla relazione troppo cauta di un medico, le toglie il sussidio. Costringendo la donna a rivolgersi a una struttura privata convenzionata con l'amministrazione catenota che costa alle casse pubbliche il doppio di quanto le spetterebbe come sussidio. «Spero che l’evidenza dei fatti abbia la meglio su una gestione delle pratiche a dir poco scellerata», commenta il nipote

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