A spasso senza i pàpiri

26 settembre, si concludono le giornate di “festa cittadina” dedicate alla riapertura della “Villa Bellini”. Tra canti, balli, stand e “installazioni” d’arte centinaia di persone hanno percorso i viali con occhio critico e indagatore.
«Secondo me dura poco» è una delle frasi più sentite della serata, insieme a «ma di novu chi c’è ‘nda sta Villa?», a manifestare un certo scetticismo per la durata eccessiva dei lavori. In generale la percezione è di una certa delusione, come se la gente si aspettasse di più. Non che mancassero persone più romantiche visibilmente emozionate, e in effetti varcare la soglia della Villa Bellini dopo 4 anni è un’esperienza che non si dimentica facilmente. Gli alberi sembrano più alti di come li ricordavi, gli spazi più grandi, il profumo… Beh, una signora ad alta voce fa notare che “c’è ciauru di medda”; forse i fertilizzanti da giardino hanno lasciato un odore non propriamente gradevole.
La “nuova” Villa è infatti anche piena di alberi appena piantati, che nella totale ignoranza di botanica che contraddistingue il catanese medio (compreso chi scrive) sembrano piccoli “alberi di Natale”, cioè abeti.

Odori a parte, quello che infastidisce sul serio il catanese è che nel giardino dedicato a Vincenzo Bellini, denominato il “cigno”, sono spariti i cigni, insieme ai loro simpatici parenti, cioè le papere. Nonostante l’assenza dei pennuti, l’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Entrando da piazza Roma c’è davvero di tutto, una palla di luci con qualcosa proiettata sopra, strani giochi per bambini. Proseguendo c’è un ponte sostenuto da cariatidi del quale non ricordavo l’esistenza – siamo sul lato di via Tomaselli -, e prima di arrivare al grande piazzale un altro gioco, 4 colonne con maniglie. Per istinto di sopravvivenza i bambini non si avvicinano nemmeno, forse perché vicino c’è lo stand Lego, anche se sembrano comunque molto più attratti da enormi vasi su cui si appollaiano. Nel piazzale sta andando avanti uno spettacolo di danza, e tanta gente guarda. Dietro di loro due serre. All’interno piante, palme varie, sedute da giardino e tanti stand. Il più interessante fabbrica arancini. Piccoli, ma sembrano gustosi, peccato costino: ne prendi 3, paghi 5 euro.

Lascio il grande spiazzo centrale, mi inoltro sulla collina sud. Al buio, siamo di sera, si apprezzano comunque le cartacce per terra. I catanesi la sentono propria, la Villa. Certo anche qui, a parte piccoli interventi, non si capisce cosa ci sia di nuovo. Di nuovo in effetti c’è che incrocio qualche ex compagno di scuola con bimbi al seguito: li avevo lasciati dieci anni fa a pomiciare sulle panchine. Belli i ciottolini nuovi, un misto di sassi e biglie di vetro che danno un effetto “caramellato”, di fronte al gazebo, finalmente utilizzato per far musica, e a panchine più o meno moderne. Anzi no, qualcosa di nuovo c’è davvero, o meglio qualcosa di molto vecchio ma recuperato: una scala interrata che porta all’ingresso del “mitico” labirinto del principe Biscari. Tre signori, chiaramente “do mistèri” valutano l’efficacia contenitiva del terreno da parte delle tavole di legno e della rete che contornano la scala.

Eccoci al “locus amoenus”, come dottamente esclama un passante, quando si accorge che esiste davvero il labirinto, sotto i nostri piedi: dei pozzi illuminati fanno capire che sotto qualcosa c’è, che prosegue proprio sotto la fontana restaurata vicino all’ingresso ovest. Qui invece delle papere – segno dei tempi – statue di papere nere a pois. O forse sono pavoni? Le apprezzerano gli uomini illustri?
La parte davvero nuova della villa, forse un po’ troppo moderna, con alternanza di piccoli “alberi di Natale”, sembra invece apprezzata dalle famiglie, dai giovani “mammoriani” che valutano il coefficiente elastico del materiale di cui sono composte delle strane “spighe di ferro filato”. Apprezzano anche le coppiette che litigano, e poi fanno pace, sedute sulle nuove panchine. Panchine di legno, ideate per immortalare dichiarazioni d’amore, rese eterne dall’uniposca. Coppie di ogni età, anche d’anziani, come i due che mentre scrivo si avvicinano. Lui, in un moto di liscìa tutta catanese, mi dice: «le panchine sono qui per i giovani: vi sedete e ascoltate i consigli degli uomini illustri». Ridacchiando si allontana, mentre la moglie lo rimprovera.

«Cosa ne pensate della nuova Villa?», vorrei chiedere agli illustri catanesi del passato. Poi guardo Ignazio Biscari e De Branca, i grandi uomini a me più vicini. Immagino di iniziare un dialogo, ma senza voler sembrare maleducato nei confronti di cotante personalità, il primo pare abbabbasunuto, l’altro ha la testa bassa, chiaramente è depresso. Saranno stati gli anni dell’abbandono della Villa a renderlo così triste, o la certezza che prima o poi «gli rompono il naso» come ricorda uno dei tanti passanti che, uniformandosi al costume del luogo, dice quel che pensa a voce alta.

Per una strada laterale vedo quello che sembra l’ingresso del labirinto: dietro un cancello c’è un mega-generatore elettrico, ma l’accesso sembra “possibile”: Chissà che non diventi un’attrazione turistica. In questa zona della Villa, nota a ogni catanese almeno ventenne per le sue panchine imboscatissime, nonostante l’ora ci sono tanti adolescenti che si dedicano con dedizione all’igiene orale reciproca, mentre a sinistra “scopro” che la base della collina è una specie di facciata di palazzo, restaurata.

Mi dirigo verso l’ingresso di via Etnea: mi chiedo di nuovo dove siano stati fatti i lavori di ristrutturazione, visto che la strada è “storta” come se le radici degli alberi stessero per sfondarla. La data scritta con le piante è aggiornata ma mentre scendo vedo qualcosa di strano all’interno della fontana “principale”, quella che dà sull’ingresso di Via Etnea. Sono statue, ma mentre quelle della fontana del “labirinto” sono chiaramente papere, queste sono liberamente interpretabili. Evoluzione delle papere, cioè dei cigni neri che sembrano gru, che tra l’altro stanno su due gambe, quindi devono essere qualcos’altro. Forse sono solo rappresentazioni della contemporaneità più spinta, forse dentro ci sono le paperette: Ghost in the shell.
Incurante delle citazioni nippo-culturali una signora, lei sì che del cigno ha ben poco, si fa fotografare in posa plastica con sfondo sghiccio. Di fronte a questo bel vedere, un mimo riunisce un centinaio di persone. Viene gentilmente invitato a “rasparisi a testa”, in cambio di venti centesimi. La Villa è tornata dei catanesi.

Foto di Dafne Grasso


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