Tartarughe, piante palustri, martin pescatori, anguille per tenere pulito. Fino a oggi sono stati loro l’attrazione dentro l’attrazione, avendo scelto come casa una vasca d’acqua dolce formata dal fiume Amenano all’interno dell’orchestra del teatro romano di Catania. Una convivenza talmente lontana nel tempo che nessun conserva memoria di come fosse il teatro senza l’acqua. Ma che adesso potrebbe essere spazzata via da un intervento che rischia di compromettere anche la struttura antica.
Il progetto risale a parecchi anni fa. Lo scopo è quello di eliminare il laghetto naturale formato nella parte originale del teatro. Dopo anni, proprio in questi giorni si sta costruendo la rampa che permetterà l’accesso ai macchinari. L’intervento, dal costo di circa 35mila euro, prevede di perforare il monumento nel restroscena – e cioè la parte della scena dove si trovavano gli ambienti di servizio per gli attori – con buchi da 20 metri di profondità nel banco lavico su cui cammina falda acquifera. Che così dovrebbe defluire. Come sturare un grande lavandino, che però ha diversi secoli di storia, sia romana che greca.
Un’operazione la cui riuscita è data solo al 50 per cento. A fronte delle mancate perizie di questi anni. L’unica di cui si ha notizia è un’analisi sulla salubrità del laghetto naturale, dove pompano centinaia di litri d’acqua dal fiume Amenano al secondo, risultata positiva. A testimoniarlo, i numerosi pesci che lo abitano e la visita di animali inusuali al centro di Catania, come un martin pescatore, un uccellino che è stato avvistato mentre si tuffava nell’acqua.
Per il resto, non risultano altri studi. Né sulla reale pericolosità dell’acqua per il monumento né sull’importanza di questa zona umida nel centro città. Ma, se il piano non dovesse riuscire, il rischio è di danneggiare il teatro romano e di ritrovarsi sempre con l’acqua, ma stavolta suddivisa in piccole pozze stagnanti. Il cui fetore sarebbe solo uno dei problemi del bene, insieme all’assenza di un contratto regionale per un servizio di pulizia e alla cronica mancanza di fondi del parco archeologico che lo gestisce.
[Foto di Archeo-Iorga Prato]
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