Il gruppo di Picanello e la «devozione totale» ai Santapaola Imprenditore: «Mi vuole bene. Mi bacia anche sulle labbra»

Un intreccio affaristico con sfumature mafiose. Andrea Consoli si sarebbe mosso a cavallo tra gli uomini di Cosa nostra, nel quartiere Picanello, e centinaia di migliaia di euro di provenienza illecita da «confondere» all’interno del suo patrimonio da imprenditore di prodotti siderurgici e ferramenta. Il 44enne, residente a Gravina di Catania, è finito in carcere nei giorni scorsi nell’ambito dell’operazione antimafia Picaneddu. Per lui, l’accusa è quella di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio aggravato. Secondo gli inquirenti, Consoli si sarebbe occupato di custodire un tesoro di 500mila euro in contanti del boss Giovanni Comis, ritenuto il reggente dei Santapaola-Ercolano a Picanello, quartiere che per il pentito Santo La Causa è «totalmente devoto alla famiglia di sangue del capomafia Nitto Santapaola». Decisiva, per la ricostruzione di strategie e assetti mafiosi e imprenditoriali, una microspia piazzata dai carabinieri all’interno della Maserati con cui si spostava Consoli.  

Così vengono fuori diversi dettagli tra cui il legame che l’imprenditore avrebbe avuto con gli altri indagati Vincenzo Sapia Vincenzo Scalia. «Lui mi vuole bene forte, forte, forte. Mi bacia anche sulle labbra», raccontava Consoli riferendosi a Scalia. L’essere a disposizione del gruppo mafioso, secondo gli inquirenti, avrebbe dato la possibilità all’imprenditore di ottenere una serie di privilegi, compresa la possibilità di fare «scortare» uno dei figli perché arrabbiato dal trattamento ricevuto da alcuni individui. «Te li mando io quattro cristiani, di quelli belli, forti, forti, forti – diceva sempre intercettato all’interno della sua Maserati – Ti faccio passare il piacere. Vuoi essere scortato? Ti faccio andare io scortato». 

Il cuore dell’inchiesta su Consoli è, però, la presunta gestione finanziaria dei soldi di Comis. I fondi del gruppo di Picanello sarebbero stati investiti per l’apertura di bische clandestine e centri scommesse, in cambio «della chiusura dei locali della concorrenza», viene specificato nell’ordinanza di custodia cautelare. Una quota di 17mila euro sarebbe stata investita per avviare un punto Snai a Picanello insieme a Gian Luca Licciardello. «Tu lo sai perché io ho fatto questa cosa?», chiedeva Consoli al presunto socio. «Per Enzo», rispondeva il secondo probabilmente riferendosi a Sapia. 

Il bicchiere, però, per l’imprenditore alla fine sarebbe stato comunque più pieno che vuoto. «Quanti gliene ho dati, ma quanti ne ho risparmiati? – continuava senza sapere di essere intercettato – Sono aperto grazie a loro, altrimenti questo spacchio non c’era, questo benessere non c’era. Ho dato, ma ho preso». Consoli era, insieme a Massimiliano Comis (non indagato e figlio di Giovanni, ndr), anche il socio della Q Factor records. Sala d’incisione con sede in via Caduti del Lavoro meta di tanti cantanti neomelodici del capoluogo etneo. «Comis ha speso almeno 300mila euro di macchinari – racconta ai magistrati della procura di Catania il collaboratore di giustizia Antonio D’Arrigo – Lo diceva sempre lo stesso Comis, vantandosi che era la seconda casa discografica in Italia con queste apparecchiature». Il 6 febbraio 2017, due anni dopo l’apertura dell’attività adesso sequestrata, Consoli viene controllato dai carabinieri subito dopo essere uscito dalla Q Factor records e trovato in possesso di 34mila euro in contanti. Appena una settimana prima il blitz Orfeo aveva decapitato il gruppo dei Santapaola a Picanello, facendo finire dietro le sbarre proprio il boss Giovanni Comis


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