PetrolMafie, i motivi dell’arresto del vicepresidente della Kore Grippaldi al vertice della società che operava per i calabresi

San Valentino 2019. Nella sede della Italpetroli c’è aria di cambiamento. Il consiglio d’amministrazione della società romana che gestisce a Locri, in Calabria, un deposito fiscale per il commercio all’ingrosso di carburante si dimette in blocco. Tra chi va via c’è anche un siciliano, per nulla sconosciuto. Nino Grippaldi, avvocato e imprenditore che vive a Gagliano Castelferrato, piccolo centro arroccato tra i monti dell’Ennese. Il suo nome, però, è noto ben più lontano: vicepresidente dell’Università Kore di Enna, un passato da presidente provinciale di Confindustria e da poche settimane componente del cda dell’Ente Autodromo di Pergusa. Ancora più recente, invece, è il suo arresto nell’ambito della maxi-inchiesta PetrolMafie Spa, che ha coinvolto anche l’erede dell’impero Sp Orazio Romeo. Grippaldi, da alcuni giorni, è ai domiciliari con l’accusa di avere fatto parte dell’associazione a delinquere attiva nelle frodi sui prodotti petroliferi. A farne parte ci sarebbero stati anche i fratelli Giovanni e Domenico Camastra, imprenditori che avrebbero operato nell’interesse anche delle famiglie ‘ndranghetiste del mandamento Jonico.

Nella ricostruzione delle accuse rivolte al 52enne, il 14 febbraio 2019 è una data importante. Il giorno precedente, infatti, i funzionari dell’Agenzia delle entrate avevano iniziato una verifica fiscale nei confronti della società, bussando alla porta degli uffici calabresi e anche nello studio di Luigi De Maio, commercialista di Torre Annunziata, a Napoli. Per i magistrati della procura di Reggio Calabria, Grippaldi e gli altri componenti del Cda fiutano subito il pericolo. Capiscono che i raggiri fino a quel momento messi in atto potrebbero essere scoperti nel giro di pochi giorni e si tirano fuori. Almeno apparentemente. A preoccuparli è la possibilità che possa venire alla luce il sistema con cui – secondo gli inquirenti – il gruppo si sarebbe impossessato di cifre da capogiro sottraendole all’Erario. Uno schema non nuovo nel settore del commercio dei prodotti petroliferi, che si basa sulla strumentalizzazione della normativa che consente, a quelle imprese che riescono a dimostrare di esportare all’estero almeno il dieci per cento dei prodotti, l’acquisto senza l’applicazione dell’Iva. In questo quadro, mentre il ruolo delle società di Orazio Romeo era a valle del sistema, quello di Italpetroli va cercato a monte. Quasi alla sorgente: la società presieduta da Grippaldi vendeva formalmente a società cartiere che simulavano il requisito di esportatore abituale, facendo invece recapitare direttamente agli acquirenti finali i carburanti. Con benefici un po’ per tutti, a spese dello Stato.

Dopo l’ispezione dell’Agenzia delle entrate, la strategia della Italpetroli sarebbe cambiata. Nei mesi successivi, a prendere in mano la società è Antonio Di Mauro, un 47enne con alcuni redditi da dipendente in una ditta di costruzioni e nessuna esperienza manageriale. Per gli investigatori si tratta indubbiamente di un prestanome. Con il destino segnato, Italpetroli da quel momento ha iniziato a produrre fatture con l’applicazione dell’Iva, scegliendo semplicemente di non versare l’imposta. Nel frattempo, il gruppo di imprenditori avrebbe pensato a come trasferire il cuore nevralgico delle attività criminali a un’altra impresa, la Petrol-Fin, il cui rappresentante legale all’epoca era Orazio Romeo e le cui quote sono interamente intestate alla moglie dell’erede del cavaliere Sebastiano Pappalardo. Alla Petrol-Fin, la Italpetroli cede il ramo d’azienda che prevede la gestione di un deposito in provincia di Frosinone. A entrare in gioco nella cessione oltre a Romeo – indicato dagli indagati anche come il Pazzesco – è anche Sergio Leonardi, imprenditore titolare dei rifornimenti LBS, già arrestato l’anno scorso in un’inchiesta che ha fatto luce sugli interessi del clan Mazzei nel contrabbando di gasolio. Nell’ordinanza firmata dal gip Vincenzo Quaranta, si legge che Leonardi, che è genero del boss catanese Pippo Sciuto, avrebbe dovuto fare arrivare denaro contante nei conti della Petrol-Fin.

La figura dell’avvocato Nino Grippaldi torna anche in questa fase. A marzo 2019, gli investigatori intercettano una telefonata in cui il vicepresidente della Kore dice «stiamo facendo tutta una serie di passaggi, incontri per disinnescare tutte le problematiche di natura ambientale». Grippaldi, tramite una parente notaia, si sarebbe impegnato anche per la stipula dell’atto sull’intrasferibilità delle quote della Petrol-Fin. A conferma di come l’uscita dal giro del 52enne sarebbe stato soltanto formale ci sarebbero poi anche una serie di incontri, avvenuti a luglio, tra la sede della Sp e un ristorante di Brucoli, nel territorio di Augusta. Qui i militari del Gico della finanza immortalano il momento in cui i principali indagati di questo filone dell’inchiesta – tra cui Romeo e Grippaldi – escono dal locale. «Se la nomina del Grippaldi (in Italpetroli, ndr) fosse stata solo formale – scrive il gip – se si fosse trattato di una testa di legno, sicuramente il sistema non avrebbe avuto esigenza di nominare il Di Mauro, potendo lasciarlo nella carica».

Quello in PetrolMafie Spa, non è il primo coinvolgimento di Grippaldi in un’inchiesta giudiziaria che vede anche la presenza della criminalità organizzata. L’uomo – a ricordarlo è lo stesso giudice – «è stato segnalato in due distinti procedimenti penali per il reato di associazione mafiosa, entrambi archiviati». A parlare di lui, tra gli altri, è stato anche il collaboratore di giustizia Eugenio Sturiale, in merito alle vicende della Pietradorata. Impresa edile di cui Grippaldi aveva il 15 per cento delle quote e i cui soci erano Michele Berna Nasca e Antonino Smiriglia, quest’ultimo destinatario nel 2019 di una confisca di beni – l’anno scorso annullata dalla Corte d’appello – per presunti legami con la famiglia mafiosa di Mistretta, un tempo guidata da Sebastiano Rampulla, il fratello dell’artificiere della strage di Capaci. «Fu così che in pratica questa azienda cominciò a prendere forma negativa, nel senso che da un’azienda che poteva lavorare in tranquillità suscitò appetiti di consorterie mafiose perché Grippaldi portò Berna Nasca, Berna Nasca portò Rampulla», ha dichiarato Sturiale davanti al tirbunale di Patti. In Pietradorata, secondo il collaboratore di giustizia, ci sarebbero state infiltrazioni anche dei clan etnei Mazzei e Cappello e la famiglia dei Santapaola, tramite soggetti vicini a Giorgio Cannizzaro, l’uomo ritenuto l’eminenza grigia di Cosa nostra a Catania.

Ma a interessarsi a Nino Grippaldi è stato anche Antonello Montante. L’avvocato ennese è finito in uno dei tantissimi documenti trovati nell’archivio segreto creato dall’ex paladino dell’antimafia e presidente di Confindustria Sicilia, già condannato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e per avere creato una rete di spionaggio. Nell’appunto redatto da Montante, e trovato all’interno di una cartellina con l’intestazione del Senato, si leggono i riferimenti anche ai rapporti con Smiriglia. Nella sentenza si legge che Grippaldi «può dirsi in origine strettamente legato a Montante, avendo rivestito anche la carica di presidente di Confindustria Enna ed essendo stato anche uno dei finanziatori, come rammentato da Marco Venturi, dei capi di vestiario destinati a papa Ratzinger». Per il giudice Grippaldi, che nel processo si è costituito parte civile e ha ottenuto il riconoscimento di un risarcimento, era diventato inviso a Montante, per «essersi pubblicamente opposto al progetto di realizzazione di una discarica in zona Dittaino da parte di una società riconducibile a Giuseppe Catanzaro».


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