Da Cosa nostra all’eolico, la reunion tra De Donno e Li Pera Ex colonnello del Ros e il geometra nei cantieri di Nicastri

Come un capodoglio nelle profondità più buie del mare. La storia di Giuseppe Li Pera, geometra nato quasi 71 anni fa a Polizzi Generosa, sulle Madonie, e poi stabilitosi a Caltanissetta, ricorda un po’ la vita del grande cetaceo. Capace di sparire per lungo tempo, per poi riapparire altrove senza perdere mai l’orientamento. A riportare in superficie Li Pera è stata, la scorsa settimana, la Direzione investigativa antimafia che ha chiesto e ottenuto il sequestro di un patrimonio di oltre dieci milioni di euro. Frutto di un fiuto imprenditoriale che, con il nuovo millennio, ha trovato espressione nell’edilizia privata – tra residence in riva al mare e parchi acquatici – e nel settore delle energie rinnovabili. Ma siccome il talento non sempre basta, Li Pera avrebbe fatto valere anche i contatti coltivati, a partire dagli anni Ottanta, con i vertici di quell’ala di Cosa nostra che aveva capito che i miliardi potevano essere fatti anche lavorando alla luce del sole. Bastava mettere le mani negli appalti.

Il sistema Siino e il coinvolgimento di Li Pera
In quel meccanismo praticamente perfetto che si occupava di spartire prebende alle aziende gradite a Totò Riina e che è passato alla storia come sistema Siino – dal nome di colui che da titolare di una piccola impresa edile diventò ministro dei lavori pubblici della Cupola – Li Pera trovò il proprio posto nei panni di responsabile per la Sicilia della Rizzani De Eccher, colosso internazionale delle costruzioni travolto dalle indagini dei magistrati a inizio anni Novanta. Mentre a Milano scoppiava Tangentopoli e in Sicilia andava avanti il processo nato dal dossier su mafia e appalti prodotto dal Ros di Palermo. Quello di Mario Mori e Giuseppe Di Donno. I due alti ufficiali condannati in primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Nelle informative inviate alla procura di Palermo, il nome di Li Pera compare tante volte. Il geometra fu uno dei cinque arrestati nel blitz che scattò l’11 luglio 1991. Quel giorno inizia la storia giudiziaria di Li Pera che si concluderà nel 2007, con la condanna definitiva a due anni e otto mesi per associazione mafiosa.

Collaborante a corrente alternata
In quei 16 anni però di cose nella vita del geometra ne successero. L’uomo, infatti, per quasi un decennio vestì i panni del collaborante. Una disponibilità nei confronti dei magistrati che arrivò dopo alcuni interrogatori in cui fece scena muta e in seguito anche all’impegno diretto del colonnello De Donno, che convinse Li Pera a raccontare ciò che sapeva. A fare da Teseo e risalire all’origine di quello che in una telefonata dell’inverno del 1990 aveva definito «il filo della Sicilia». Al capo di quel gomitolo c’era proprio Siino, che con Li Pera era stato arrestato. Su quel mondo, tuttavia, il geometra si soffermò principalmente sui rapporti corruttivi che intercorrevano tra politici – su tutti il parlamentare democristiano Salvo Lima -, burocrati e imprese. Escludendo in un primo tempo del tutto Cosa nostra e poi, soffermandosi su di essa, non nel modo in cui l’oggetto della discussione avrebbe meritato. Il motivo, per la Dia, è chiaro: Li Pera si è sempre guardato dal raccontare tutto ciò che sapeva di Cosa nostra perché i lacci con la criminalità organizzata non li avrebbe mai recisi.

Intrecci contro vento
Ma come in ogni storia italiana sviluppatasi a cavallo tra prima e seconda repubblica, le zone d’ombra e le ambiguità non sono poche. Una è svelata oggi in esclusiva da MeridioNews e tira in ballo un contatto finora inedito tra Giuseppe Li Pera e Giuseppe De Donno. Nell’autunno 2008, la Sigi, la holding di Li Pera, che l’anno precedente era stato condannato per mafia, entra in contatto con la G-Risk, società specializzata in sicurezza e intelligence con sede a Roma, il cui rappresentante legale era proprio De Donno. Per dieci anni al Ros e sei al Sisde, il servizio segreto civile italiano. Ma in quale contesto si trovano a lavorare Li Pera e De Donno? A chiarirlo è una nota al bilancio della Sigi. «Nel mese di ottobre 2008 abbiamo formalizzato un contratto con la G-Risk per l’assistenza tecnica dei cantieri Alerion Energie Rinnovabili in Sicilia». Quest’ultima è una spa del gruppo milanese Alerion, specializzato nel settore delle rinnovabili, che nell’isola ha realizzato diversi parchi eolici. Uno di questi a Licodia Eubea, nell’entroterra catanese.

Se di per sé il nome Alerion non dice molto se non agli addetti ai lavori, il discorso cambia scorrendo le cronache giudiziarie in cui il colosso è stato citato perché accostato in Sicilia a figure ritenute contigue con Cosa nostra. A partire da Vito Nicastri, il re dell’eolico condannato in primo grado per mafia e considerato legato a Matteo Messina Denaro. Nicastri avrebbe disposto dei conti della Alerion Energie Rinnovabili, ordinando bonifici sul conto di un funzionario del Genio militare che aveva favorito gli interessi dell’imprenditore. Ad avere avuto a che fare con Alerion è stato anche Mario Scinardo, allevatore dei Nebrodi diventato imprenditore, già citato in un pizzino del boss Lo Piccolo e considerato vicino alla famiglia mafiosa di Mistretta dei Rampulla e ai catanesi Santapaola. Scinardo, tuttavia, a inizio anno ha ottenuto la restituzione del patrimonio in precedenza confiscato. Ma c’è di più nella realizzazione del parco eolico a Licodia Eubea entra in gioco lo stesso Li Pera, definito dai giudici che confiscarono il patrimonio a Nicastri come «protagonista delle più torbide vicende siciliane degli anni Novanta». Nello sviluppo dell’impianto green, infatti, è stata coinvolta anche una società, la I.G.S. International Global Service, costituita dal figlio di Li Pera e da Francesco Scirocco, il colletto bianco condannato per concorso esterno e recentemente coinvolto nell’inchiesta sui lavori al palazzo di giustizia di Caltanissetta.

La versione di De Donno
«Noi ci occupavamo di sicurezza nei cantieri e da qualche anno avevamo un contratto con Alerion. C’era un problema sul cantiere di natura tecnica e serviva una persona che potesse gestire questa attività e Li Pera era una figura competente», dichiara De Donno, contattato da MeridioNews. L’ex colonnello del Ros era a conoscenza del verdetto definitivo su Li Pera. «Certo che lo conoscevo, lo avevo arrestato io – continua De Donno -. Non ricordo se la condanna era per mafia. Ma Li Pera all’epoca aveva collaborato, era stato uno dei principale teste. Comunque serviva una persona che, nonostante questa questione, fosse affidabile e quindi facemmo questo accordo di cui non ricordo la durata. Di lui mi fidavo». Sull’opportunità dell’avere chiesto la partnership con un condannato per mafia, De Donno dichiara: «Lo so che può sembrare strano, ma io mi fidavo di Li Pera e sapevo che non avrebbe creato problemi. L’ho segnalato io perché ero convinto aveva cambiato vita. Il sequestro dei giorni scorsi? Evidentemente la Dia ha elementi che dimostrano il contrario».

Negli anni scorsi De Donno si è trovato a rispondere anche dell’assunzione dell’ex brigatista Valerio Morucci, coinvolto nel sequestro Moro. «Io penso che chiunque, scontata la propria condanna, debba avere la possibilità di lavorare e riabilitarsi – commenta oggi l’ex colonnello -. Poi c’è chi può non condividere». La G-Risk è stata posta in liquidazione nell’estate di due anni fa. Le quote erano divise tra De Donno e Mario Ciuffini, anche lui ex carabiniere, mentre nel consiglio d’amministrazione durante gli anni ha seduto anche lo stesso ex generale Mario Mori, oltre che a soggetti che attualmente ricoprono ruoli in alcune delle più importanti imprese del Paese. «Oggi faccio solo qualche consulenza, anche perché per via delle mie vicende processuali non era semplice portare avanti la società», commenta De Donno, che insieme a Mori è ritenuto l’artefice della trattativa che pezzi dello Stato, in seguito alla strage di Capaci, avrebbero avviato con Cosa nostra per il tramite di Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo. Tra le società per cui De Donno ha lavorato negli anni scorsi c’è anche la Proger spa, gruppo internazionale che nel 2017 ha acquisito il ramo d’azienda relativo alla security proprio da G-Risk e dove attualmente opera anche Ciuffini, l’ex socio di De Donno.

Il conflitto Ros-Procura e le parole di Li Pera a Catania
Quindici anni prima che si trovassero a interagire da imprenditori, Li Pera e De Donno furono, in ruoli diversi, protagonisti di uno dei momenti più caldi della storia italiana. Il primo, infatti, fu uno dei principali accusatori della procura di Palermo. Secondo il geometra, i magistrati avevano gestito in modo discutibile il dossier su mafia e appalti prodotto dal Ros di Mori e De Donno. Si parlò di presunti favori a uomini potenti. I possibili sviluppi di quell’indagine, secondo molti, avrebbero avuto un ruolo nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. In seguito a quella diffidenza, Li Pera trovò il modo di parlare con un magistrato in servizio alla procura di Catania, Felice Lima. A lui raccontò più di quanto avesse fatto precedentemente a Palermo. Di quelle storie Lima voleva mettere al corrente Paolo Borsellino, ma non ci riuscì mai perché nel frattempo Cosa nostra, e forse non solo, fecero saltare in aria il magistrato.

L’ennesimo mistero: il contatto fallito con Borsellino
Sui tempi con cui il tentativo di avvisare Borsellino, si snoda un altro mistero: Lima chiese a De Donno di avvertire Roberto Scarpinato (all’epoca magistrato a Palermo) per accennargli della collaborazione di Li Pera. De Donno ha raccontato di averne parlato con Scarpinato a Roma, ma quest’ultimo ha smentito la ricostruzione. Di questa vicenda si fa menzione nel 1999, nella sentenza sul conflitto tra Ros e procura di Palermo. «Solamente a distanza di tanti anni (De Donno, ndr) ha narrato del suo incontro romano con Scarpinato, finalizzato – si legge nelle motivazioni – a informare Borsellino delle accuse rivolte da Li Pera ai magistrati di Palermo, benché, nell’ambito del procedimento nel quale il De Donno fu sentito nel 1993, anche Scarpinato rivestisse la qualità di indagato e sarebbe stato, quindi, doveroso rappresentare, già a quell’epoca, tali circostanze. Ed è, dunque, ovvio e legittimo che, oggi – sottolineò la giudice Gilda Loforti – si obietti che l’incontro con Scarpinato non è avvenuto e che non aveva ragione di avvenire nei termini e per le finalità illustrate dall’ufficiale, tenuto conto che emerge che le prime dichiarazioni del Li Pera, circa il coinvolgimento di taluni magistrati di Palermo nella illecita divulgazione della informativa, risultano verbalizzate solamente in data 20 luglio 1992». Il giorno dopo la morte di Borsellino.


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