Candela, l’appalto della discordia e il bollino antimafia «Era un santo, mi sono ribellato e mi ha denunciato»

Una spia che si accende nella testa per indicare che qualcosa, in quell’appalto da 126 milioni di euro bandito a novembre 2013, non andava. Giuseppe Digiacomo quel giorno forse prese in mano carta e penna. E fece quella che oggi chiama «un’operazione matematica molto semplice». Moltiplicare l’ammontare della bolletta della luce che pagava l’Asp di Palermo per la durata dell’appalto per l’efficientamento energetico. Il risultato, confrontato con la base d’asta del bando, non lasciava spazio a dubbi: «Nessun risparmio, anzi un aggravio dei costi». Quando Digiacomo, nel 2014 deputato regionale del Partito democratico e presidente della commissione Sanità all’assemblea regionale, alzò il dito per fare notare la stortura venne bollato come un impiccione. Si beccò pure un esposto per un tentativo di turbativa d’asta e le pesanti critichi del suo partito, in particolare dalla cosiddetta area renziana. 

A denunciarlo in procura era stato Antonino Candela, il rampante manager sotto scorta simbolo della lotta al malaffare, finito nei giorni scorsi ai domiciliari nell’inchiesta sulla corruzione nella sanità siciliana. Tra i bandi passati al setaccio dagli uomini del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza c’è anche quell’appalto che prometteva risparmi milionari per l’Asp di Palermo. Una gara a procedura aperta cominciata nel 2013 e aggiudicata alla Siram a luglio 2016. La stessa che aveva fatto insospettire Di Giacomo. «Sia il presidente della Regione Rosario Crocetta – racconta al telefono a MeridioNews – che la capogruppo del partito all’Ars Alice Anselmo, e altri pezzi importanti del Pd, si schierarono con Candela. Oggi questi sono i risultati». Secondo gli investigatori, dietro la vittoria della gara si nasconderebbero favoritismi e tangenti sull’asse Palermo-Napoli.

Contro Digiacomo, però, fu un tutti contro uno. Anche perché Candela, con le sue denunce, era un vessillo della legalità in ascesa. Premiato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ospite in prima serata su Rai 1. Forte di «un duro percorso di risanamento», come dicevano le parlamentari renziane Antonella Milazzo e Marika Cirone. Il manager dell’Asp, alcuni mesi dopo lo scontro con Digiacomo, fu oggetto di minacce. Questa la lettura che venne data nei primi giorni del 2016 dall’allora presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Lumia. Convinto nell’affiancare un colpo di pistola sparato in un gabbiotto dell’Asp il 31 dicembre – ultimo dell’anno – a una intimidazione mafiosa diretta nei confronti di Candela. Spartito uguale a febbraio 2016, quando la vicepresidente della Regione Mariella Lo Bello parlò di «clima pericoloso attorno a Candela».

«Quando ricevetti l’avviso di garanzia, informai tutti i membri della commissione Sanità – racconta Digiacomo – mettendo a disposizione il mio mandato da presidente. Tutti, compreso il M5s, rigettarono la proposta, dandomi un attestato di stima. Contrariamente a quanto aveva fatto Candela con la sua denuncia». Digiacomo, in questi anni, è stato l’unico a mettersi di traverso a Candela? «Sì e l’ho fatto da solo. Come le fughe di Marco Pantani – ricostruisce – Più di una volta ho detto a Rosario Crocetta che si era circondato di personaggi che lo avrebbero travolto. E così è stato. Candela attorno aveva un clima da santo, era un paladino della legalità». Adesso il manager, che era stato nominato dal presidente Nello Musumeci coordinatore della Regione per l’emergenza Covid-19, si trova agli arresti domiciliari. Il cenacolo dell’antimafia pirandelliana ha perso l’ennesima bandiera da sventolare.


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