Bancarotta fraudolenta dietro fallimento call center Qè Ai domiciliari l’amministratore, sequestrati 2,4 milioni

Bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e omesso versamento dell’Iva. È con queste accuse che è finito agli arresti domiciliari il 64enne Patrizio Argenterio, presidente del Cda e amministratore della Qè Srl di Paternò dall’aprile 2013 fino alla dichiarazione di fallimento. Su delega della procura, i finanzieri, nell’ambito dell’operazione denominata Who is, hanno anche eseguito una interdittiva e il sequestro di 2,4 milioni di euro

Alla fine del 2016, la società già fornitrice del servizio di call-contact
center
ad aziende di rilevanza nazionale (tra le quali, Enel Energia, Sky e Inps), chiude i
locali e licenzia oltre 200 lavoratori dipendenti e centinaia di lavoratori a progetto
. Nel
giugno 2017, il tribunale di Catania
dichiara il fallimento della società gravata,
tra l’altro, da debiti erariali non assolti per circa 14 milioni di euro. Il dissesto finanziario inizia nel 2012 quando il patrimonio netto non più
esistente (con un 
saldo negativo di oltre un milione di euro) sarebbe stato occultato dagli amministratori tramite bilanci falsi redatti al solo scopo di proseguire fraudolentemente
l’attività
. Nata nel 2009, la società usufruiva
anche di agevolazioni finanziarie e di crediti d’imposta riservati alle aziende del
Mezzogiorno per l’assunzione di lavoratori svantaggiati. 

Argenterio oggi risulta essere l’amministratore della Zenith alluminio Srl società con sede a Manerbio (in provincia di Brescia) attiva dal 2015 nel settore della fabbricazione di imballaggi leggeri in
metallo
. Tra il 2014 e il 2017 è stato sostituito in incarichi amministrativi in ben 14
società soprattutto dal figlio e da
Mauro De Angelis. Quest’ultimo, amministratore della dal luglio del 2015 al fallimento del 2017, è il destinatario del divieto temporaneo per sei mesi di esercitare ruoli direttivi di persone
giuridiche e imprese. Il 71enne, già noto alle cronache per essere finito ai domiciliari nel 2017 sempre per 
bancarotta
fraudolenta
, ha ricoperto cariche amministrative in oltre 40 società commerciali. Il sequestro a carico dei due riguarda il mancato versamento dell’Iva per l’anno 2015. Per questo stesso motivo, nel 2017 Argenterio è stato destinatario della stessa misura per un importo di oltre un milione di euro.  

Intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizione dei locali, analisi della documentazione bancaria e informazioni avute dai dipendenti della società fallita. È con questi elementi che i finanzieri del gruppo tutela economia del nucleo Pef di Catania, sotto la direzione del gruppo di magistrati specializzati nei reati fallimentari e tributari, hanno potuto tracciare il quadro delle attività criminali del management della . Nel 2015, in pieno dissesto, dopo avere beneficiato di tutti i contributi e gli sgravi possibili concessi per l’insediamento in Sicilia
dell’attività aziendale, avrebbe iniziato lo
svuotamento delle casse sociali effettuando pagamenti
e cessioni distrattive di beni
a beneficio di imprese riconducibili direttamente alla cerchia
degli indagati. 

Il deficit patrimoniale della pari a oltre un milione di euro
all’inizio del 2013, per effetto delle condotte di falso in bilancio, omessi versamenti di
imposte e contributi e distrazioni e pagamenti preferenziali, nell’ultimo bilancio approvato nel 2015 raggiunge un valore di oltre
7 milioni
di euro
. In particolare, le fiamme gialle etnee hanno monitorato una cessione dei beni aziendali
(postazioni informatiche, arredi, apparati telefonici utilizzati per i servizi di call center) del maggio del 2017 a favore di una società milanese – la Telesurvey Srl – operativa nello stesso settore della . I beni, materialmente trasferiti nella sede
meneghina, sarebbero stati
ceduti senza il corrispettivo (stimato in 50mila euro) per la . Le attività sono
state sequestrate e affidate alla curatela fallimentare a copertura dei debiti insoluti. 

Altri gravi condotte illecite degli amministratori si sarebbero verificate con i pagamenti preferenziali, durante il dissesto e prima dell’apertura della
procedura fallimentare,
a favore di società a loro stessi riconducibili, il tutto a danno dei lavoratori e dell’erario.
Nello specifico, per l’ammissione al passivo, furono avanzate oltre
200 istanze per crediti
da retribuzione e tfr. La società Yukti Srl – con sede a Brescia e operativa nell’attività di holding, assunzione
di partecipazioni – titolare del 93 per cento delle quote della
, dichiarata fallita dal tribunale di Brescia nel novembre 2018 e amministrata dal giugno 2016 proprio da De Angelis che era subentrato a Argenterio, avrebbe ricevuto tra il 2015 e
il 2016 il
versamento di 76mila euro per un credito da finanziamento soci. Anche questa società fallita aveva accumulato debiti erariali per circa 2 milioni di euro

Altri pagamenti preferenziali sarebbero stati fatti alla Zenith Srl, dichiarata fallita nel gennaio 2019, per crediti di forniture di servizi per
337.961 euro. Questa società, già detentrice di una partecipazione societaria nella Yukti Srl, era amministrata dal figlio di Argenterio.
Terza società beneficiaria di un pagamento preferenziale di
55.200 euro per la fornitura di
servizi è la
Wave Contact Srl, con sede a Brescia e operativa nell’attività di servizi di contact center. Dichiarata fallita dal tribunale di Brescia nel maggio
2017,
era amministrata dagli stessi Argenterio e De Angelis. Il debito nei confronti
della
Wave Contanct era maturato nel 2016, anno in cui la aveva cessato la propria attività

Infin, a beneficiare di un pagamento di 828.700 euro, in violazione della par condicio
creditorum
, è la Di Bella Srl. La società, con sede a Paternò e operativa nell’attività di edilizia civile nel settore delle comunicazioni, da cui aveva affittato gli
immobili. Amministratore era 
Franz Di Bella (classe 1978) che figurando anche come consigliere di
amministrazione della
sarebbe stato consapevole dello stato di dissesto in cui
quest’ultima versava.

Tutte operazioni finanziarie che avrebbero aggravato il dissesto del call center di Paternò e che sarebbero state realizzate senza clamore per «le continue falsificazioni di bilancio che celavano al mondo esterno la reale situazione economico-patrimoniale della Qè», scrivono gli inquirenti. In particolare, tra le voci di bilancio false è stata ritrovata l’iscrizione di crediti per fatture da emettere per 2 milioni di euro a fronte
di fatture poi emesse per soli 700mila euro. Nell’attivo, inoltre, sarebbero stati posizionati
350mila euro di stipendi inquadrati come immobilizzazioni e non come costi d’esercizio; ulteriore artificio è stato realizzato con false note di rettifica delle fatture di vendita per le quali era stata versata
dai clienti l’Iva: i ricavi conseguiti sarebbero stati impropriamente qualificati come esenti e così sarebbe sparita dal bilancio sia dei
ricavi che dell’Iva già incassata per conto dello Stato. 


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