Massimo Flaccavento e l’assalto al vulcano Tupungato «Per quattro giorni bloccato a 5400 metri. Ritenterò»

«Giorni di solitudine, di vento impetuoso, di grandi silenzi. Elementi che ti sconvolgono l’anima, che ti lasciano un segno indelebile, lo stesso che solo le grandi avventure sono capaci di lasciare!».  Le emozioni, tradotte in questa frase, sono quelle scritte sulla sua pagina Facebook da Massimo Flaccavento al termine dell’avventura sul Tupungato, vulcano di 6570 metri al confine tra Argentina e Cile. Il sogno, come ci aveva spiegato prima della partenza, era quello di scalarlo in solitaria. Evenienza che ha reso i piani ancora più complicati, date le difficoltà logistiche per raggiungerlo. L’impresa, alla fine, non è andata come previsto: nella mente e nel cuore, però, sono rimaste sensazioni uniche.

«La scalata è andata bene, ma non sono arrivato in cima a causa del maltempo. Sono partito il 25 gennaio da Santiago del Cile – racconta Flaccavento a MeridioNews – e dopo tre giorni mi trovavo già in quota. Tutto stava andando per il meglio, almeno fin quando sono salito fino ai 5400 metri per installare il campo base. Il problema che mi ha bloccato – precisa – è stata una nebbia molto fitta, più che la neve. Il vento che spirava dal Cile ha smesso di soffiare, permettendo alla perturbazione proveniente dall’Argentina di valicare la cresta, rovinandomi il piano. L’uno febbraio c’era una splendida nottata, ammiravo distintamente la Via Lattea sopra la mia testa. Qualche ora dopo, non vedevo più nulla».

L’indomani, dopo quattro giorni all’interno della sua tenda, impossibilitato a muoversi, è arrivata la decisione di desistere: «La notte tra il 30 e il 31 gennaio – ricorda Flaccavento – cadevano dei fulmini molto vicini alla zona in cui avevo creato l’accampamento. La nebbia mi ha reso complicata anche la discesa. Ho dovuto disinstallare il campo base, caricandomi circa 50 chili di materiale sulle spalle». Questo, però, non ha rovinato la sua esperienza: «Sono anche una guida vulcanologica – ricorda lo scalatore – quindi questo influenza il mio ragionamento quando vado in montagna. Non per forza deve toccarsi il punto più alto: ciò che conta è la globalità dell’esperienza».

Il guanto di sfida, però, non è gettato. «Voglio tornare l’anno prossimo: questa volta cercherò qualche compagno di cordata. La solitudine è un’esperienza importante – ricorda Flaccavento – ma, sulle Ande, la logistica ti impone di camminare per giorni prima di giungere alla meta». Il Tupungato, poi, è fuori dalle rotte escursionistiche: sulle Ande la star delle cime è l’Aconcagua. «Le altre montagne sono considerate di Serie B, ma non per questo più facili». La parte sommitale del Tupungato, ad esempio, è molto impegnativa: «Bisogna superare uno scivolo di neve dura o ghiaccio, quindi un breve tratto di arrampicata su roccia e si entra in un canale misto roccia-ghiaccio, prima della vetta. Nel 2020 tenterò nuovamente l’assalto, per poi programmare un viaggio in Etiopia». Mettersi in gioco, a volte, vale ancor più di conquistare una meta.


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