Laureando, musicista, esperto del suono e di produzione audiovisiva, Giuseppe Schillaci, in barba alla crisi e alla disoccupazione, fonda un piccola casa di produzione musicale. A Catania per vivere fa il restauratore, ma nel frattempo manda avanti la propria passione e registra diversi lavori, tra cui l'album d'esordio di Mapuche
Doremillaro, etichetta sbrecs di Catania «Puntiamo alla musica non convenzionale»
«Un’etichetta di irresponsabilità musicali a scopo di sopravvivenza». Si chiama Doremillaro (sb) Recs, «che sta per sbrecs, un modo per dire strano in dialetto catanese», spiega il fondatore, Giuseppe Schillaci. Trent’anni, laureando in lettere e una specializzazione come tecnico fonico in ambito musicale e audiovisivo. Ha studiato alla Scuola di alto perfezionamento musicale di Saluzzo e lavorato a Torino come fonico alla Biennale dei giovani artisti. E nella capitale come tecnico di postproduzione audiovisiva in ambito cinematografico. Due anni in giro per l’Italia, «poi il lavoro a Roma è finito, non riuscivo più a pagare le spese e sono tornato a Catania», racconta il giovane produttore. «Ma la sconfitta quotidiana è che, non essendoci meritocrazia in Italia, nonostante abbia studiato nei posti migliori, oggi non posso fare il lavoro che so fare», lamenta Peppe. «Sono tecnico di audiovisivi ma per vivere lavoro con mio padre che è artigiano. Faccio il restauratore e il tempo libero lo dedico a Doremillaro».
«Mi occupo di andare a scovare tutta quella musica non allineata, poco ortodossa, ma valida. Che merita di essere promossa», spiega il giovane produttore catanese. «Amo la musica, suono da quando ho undici anni e mi fa stare bene l’idea di dare spazio alla musica sperimentale. Sia cantautorale che strumentale». «Oggi facciamo i conti con una società che ha i mezzi per poter andare oltre ma non lo fa. La rivoluzione digitale ci ha portato paradossalmente ad appiattire la nostra ricerca culturale», sostiene il produttore musicale. E Doremillaro per Giuseppe Schillaci e quanti lavorano con lui rappresenta «un angolino nel web, dove dare spazio a tutti quei musicisti che non ce l’hanno. A quanti fanno fatica a farsi conoscere perché magari non somigliano all’ultimo dei ragazzi usciti da Amici di Maria De Filippi».
Il nome è nato un po’ per gioco, «immaginando una città ideale dove ogni quartiere fosse stato dedicato alla musica, Sound City. Da lì l’idea della moneta da assegnarle. E da dollaro è nato doremillaro». Il logo è una chiesa che brucia. «Non siamo anticattolici o vogliamo colpire il mondo religioso. Piuttosto è stato scelto per andare contro l’ideologia di tutti quelli che creano parrocchie, sacrestie e sono legati a credenze varie. Perché noi produciamo musica non ortodossa, non vogliamo allinearci a nessuna tipologia standard. Ma piuttosto fare musica in maniera diversa, che sia dissacrante e al tempo stesso interessante». Economia e buon gusto, è il motto della giovane etichetta. «Si cerca di registrare al meglio con il minimo che si ha», dice Schillaci. «La maggio parte delle registrazioni prodotte dalla Doremillaro, infatti, sono state fatte in modo casalingo». E quando dice casalingo, non scherza. «I due dischi migliori prodotti fino ad ora continua – li abbiamo prodotti nella cucina di un amico con due buoni microfono e un registratore portatili».
«Se mi chiedono perché lo faccio, rispondo perché amo la musica», racconta. «Non posso certo produrre il disco del secolo, ma provo ad aiutare cantautori validi a emergere, come è stato per il disco Anima Latrina di Enrico Lanza in arte Mapuche il primo lavoro prodotto da Doremillaro». D’altronde «ci si autoproduce e cooproduce», dice Schillaci. «I proventi, pochi, vengono solo dalla vendita dei cd. Ma, guadagni a parte, con Doremillaro so di fare qualcosa di buono.Sarebbe bello diventasse un’impresa. Ma con la crisi discografica che c’è e il tipo di musica che produciamo noi è difficile. Ma non è detto dice il giovane produttore – Noi ci crediamo e ci stiamo provando. In cantiere ci sono nuovi progetti e, se dovessi pensare una attimo al futuro, spero di continuare a fare ciò che so fare e mi piace fare».