Il pollo di Gloria, la nuova lupara Storie e schemi per capire le mafie

«Un giorno il mondo ti dà un calcio sui denti e non hai altra scelta che quella di vedere le cose per come realmente sono» – Lukas Kane (Fahrenheit)

La storia di Gloria Erobaga è una storia come tante. O meglio, come quella di altre diecimila ragazze, stimano le Nazioni Unite. E’ una bella e giovane donna nigeriana, di Benin City. Ha molti fratelli e sorelle, e con i miseri guadagni del padre si riesce a sfamarli a malapena. Figuriamoci a dare loro un’istruzione, un lavoro, un futuro. E’ proprio la speranza di poter andare all’università e di trovare una fonte di guadagno sicura che porta Gloria ad accettare i consigli e gli aiuti economici di un amico di famiglia. Deve andare in Europa: «There’s money in Europe, there’s prosperity!» si grida a Benin City.

Qualche tempo dopo Gloria si ritrova in Italia, sola, inesperta e senza documenti né qualcuno che la assista a trovare un lavoro. Il viaggio (clandestino) e i servizi dell’amico hanno messo sulle sue spalle un debito di 35mila dollari che non può non ripagare. Un rituale magico la costringe, infatti, a riconsegnare il denaro, pena la morte. E’ strano agli occhi di una società secolarizzata, ma spesso in Nigeria bastano gocce di sangue di un pollo sgozzato, mescolate in una pozione contenente i capelli e i peli pubici della vittima affinché questi diventi schiavo e fonte di profitto di un criminale usuraio.

Gloria è spaventata, non vuole morire, le dicono che l’unica scelta è quella di prostituirsi. La portano per le strade, lì i clienti l’aspettano. A fine serata passa chi deve raccogliere i guadagni. Persone terribili, dice lei, pronte a sgozzarti e gettarti in un cassonetto se fai sparire un paio di banconote dal mazzo. Gloria si sente una schiava, una cosa, in quel pezzo d’Italia dove pensava che avrebbe potuto iniziare una nuova vita. Al contrario di molte con lei sulla strada, però, la salvezza la trova: si rifugerà in un centro di recupero, dove dopo dei mesi verrà rimpatriata. Dopo il ricongiungimento con i familiari, Gloria apre un piccolo negozio alimentare nella sua Benin City. E’ ormai da due anni che si guadagna da vivere così.

Le vicende di Gloria Erobaga sono state raccontate in un report della giornalista Juliana Ruhfus di Al-Jazeera. La sua è una storia tra le diecimila che avvengono sotto gli occhi di noi italiani. E’ la stessa delle prostitute che si vedono per Catania centro la sera. Eppure da noi della vita di Gloria e delle altre ragazze, di come il crimine organizzato si impossessi di loro e le schiavizzi si parla ben poco. La cronaca parla spesso degli arresti, dei capi-clan e dei guadagni delle mafie. Ma c’è molto di più. Ci sono le vittime, ci sono le vite invisibili dei criminali, ci sono gli intrecci internazionali tra le mafie. Un mondo intero sotto terra.

Sentire queste storie è come prendere un calcio in faccia che ti porta temporaneamente in una spaventosa realtà. Dopo vorresti sapere, capire qualcosa di più delle mafie. Spesso in Italia i media non bastano a saziare questa fame, perché le notizie non girano, o perché non c’è la voglia, o la capacità di ottenere le informazioni. Allora perché non creare uno strumento che ci aiuti, anche un po’? Ecco il mafioscopio.

Il mafioscopio non è solo una rubrica, è una lente. Una lente multiuso. Può essere utilizzata per ingrandire, come oggi, e osservare le vite di chi le mafie le ha vissute. Come un telescopio, può anche guardare qualcosa di enorme e intricato tutto in una volta e mostrare le mafie, i loro traffici e modi di agire nel loro complesso. E non solo: il mafioscopio è capace di cambiare soggetto velocemente. Dalle guerriglie per droga in Messico, può spostarsi sui campi di oppio in Afghanistan, per poi dirigersi negli edifici della Yakuza giapponese, e chissà dove ancora.

Questo peculiare strumento ottico non è un’enciclopedia della mafie, né un quotidiano di cronaca. Il suo compito non è solo informare ma anche formare chi lo usa. Per contrastare il crimine organizzato attuale bisogna prima di tutto capirlo. Guardateci dentro.

Stefano Gurciullo, 22 anni, è nato e cresciuto in provincia di Siracusa. A 16 anni ottiene una borsa di studio per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, a Duino (Ts), dove completa gli studi medi superiori. A 19 si sposta a Londra, dove frequenta un corso di laurea in Economia e Scienze Politiche alla School of Oriental and African Studies (Soas), con una tesi sulle attività delle mafie colombiane in Africa dell’Ovest. Dopo la laurea si è spostato alla University College London (Ucl) per seguire un master in Scienze della Sicurezza. In ambito accademico, i suoi interessi coprono anche l’impatto delle istituzioni politiche sui sistemi economici e l’applicazione della teoria dei sistemi complessi in ambito sociale.

[Foto di Camera Rwanda]


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