La Sicilia si conferma tra i territori più fertili nel mercato del gaming. Un settore che si è evoluto, passando da semplice strumento di intrattenimento a contributo allo sviluppo economico e culturale della società. Con progetti pensati per i non vedenti, ma anche per chi si occupa di marketing
Let’s play, videogiochi tra impresa e sociale Dalla didattica a un aiuto nei casi d’autismo
Sanità, didattica, turismo. Sono solo alcuni dei temi a cui oggi guarda il settore dei videogame. Da puri strumenti di intrattenimento ad aiuti nei casi di autismo o nello sviluppo dei più piccoli. E anche occasione di business per giovani. Il tutto in Sicilia, tra i territori più fertili nel mercato del gaming e del mondo virtuale. Lo dimostrano le diverse realtà dell’Isola – start up e aziende avviate – che hanno raccontato le loro esperienze durante l’incontro Let’s Play: il videogioco tra impresa e cultura, anteprima del primo festival del videogioco d’Italia che si svolgerà a Roma dal 15 al 19 marzo.
A cominciare dal campo medico, come racconta Marco Lombardo di Behaviourlabs, start up nata nel 2013 da soci made in Sicily che hanno rivolto la loro attenzione alla robotica sociale applicata alla terapia dell’autismo. «I casi di autismo che ci hanno interessato da vicino ci hanno spinto a lavorare sfruttando la robotica, la realtà virtuale e i serious game», racconta. Accanto a lui c’è Nao, il robot umanoide capace di stimolare al bambino autistico la psicomotricità. «Rispetto all’interazione con una persona, quando è a contatto con Nao il bambino percepisce non tanto la parola, quanto una serie di sensazioni e informazioni che il robot è in grado di trasmettere». Un’idea che ha conquistato diversi campi. Sono tante, infatti, le collaborazioni dell’azienda con Cnr, Università di Catania, Kore di Enna, strutture pubbliche e private, oltre all’interesse suscitato nell’Asp di Catania, che ha già acquistato il prodotto innovativo.
Sempre al campo della sanità si rivolge l’idea dei palermitani Filippo Vela, Luca Alba, Paolo Gallo e Giuseppe Di Girolamo che provengono da esperienze su piattaforme come GameBoy e che dal 2012 hanno dato vita all’azienda Sylphelabs. «Qualche anno fa siamo stati allo Svilupparty di Bologna per presentare il gioco Occultus, Cabala Mediterranea – racconta Vela, 45 anni, indie developer del gruppo – e ci siamo appassionati a una serie di prodotti per non vedenti». È nato così FlareStar, l’action game per non vedenti che racconta la storia del primo ufficiale di un astronave che deve affrontare guasti e problemi tecnici prima di tornare a casa. Tutto attraverso una semplice cuffia, visto che a farla da padroni sono i suoni sparsi nello spazio. «È stato bello cercare di trovare il modo di fare muovere il giocatore nello spazio senza l’aiuto delle immagini».
L’esperienza con Mash&co del 29enne catanese Claudio Musumeci – laureato in Ingegneria Informatica – può far tirare un sospiro di sollievo ai genitori che disapprovano tablet e smartphone nelle mani dei più piccoli. «È vero che il mercato delle app dedicate ai bambini in età prescolare viene spesso cannibalizzato da aziende che producono giochi ipnotici e poco adatti», ammette Musumeci, cresciuto negli anni di Super Mario, in principio studioso autodidatta di videogame. «Il nostro prodotto è di intrattenimento, ma offre spunti etici e morali che aiutano il bambino a sviluppare le sue capacità cognitive». Spazio quindi alla natura e all’importanza di preservare un bene prezioso come l’acqua, all’amicizia e al rispetto nei confronti degli altri, attraverso i personaggi del funghetto e della lumachina. Cugini e nipoti sono state le cavie del progetto realizzato con Vincenzo Merenda e Katrin Orbeta, nonché i primi fan ufficiali del gioco.
«Quando mi sono iscritto a Economia volevo fare il commercialista», racconta invece Luciano Leotta. Ma poi la vita ha preso un’altra piega per il 32enne, oggi marketing manager di A-Tono, azienda che si occupa di mobile marketing. «Gli smartphone e tutti i sistemi che usiamo nella nostra vita quotidiana offrono enormi possibilità sia ai consumatori che alle aziende, che hanno uno strumento per avere immediato contatto con gli utenti». Leotta e i colleghi individuano prodotti interessanti per la comunità, che poi sviluppano, realizzano e distribuiscono. «Facciamo tutto in casa, ecco perché servono forze nuove e fresche, soprattutto neo laureati nel campo dell’Ingegneria e dell’Informatica – spiega – Persone da formare e inserire nei progetti di lavoro». A questo scopo organizzano anche tirocini e stage con cui accompagnano gli studenti alla laurea e al mondo del lavoro, anche in grandi aziende come Amazon e Google.