Intervista al presidente della Regione che risponde all'esponente del governo, registrato dal Corriere: «Crocetta non ce la fa a esprimersi per il no. A parte il fatto che non sposta neanche i voti dei suoi». «Il mio voto vale molto - replica il governatore - perché ho molte perplessità ma mi fido delle rassicurazioni di Renzi»
Referendum, Crocetta e il fuorionda del ministro Delrio «Mi ha chiesto scusa, voto sì ma Italicum mi preoccupa»
«Mentre usciva questo pettegolezzo, ero impegnato in un dibattito televisivo su La7 per il fronte del sì». Un pettegolezzo. Così Rosario Crocetta prova ad archiviare il siparietto mostrato dal Corriere della Sera, in cui si sente un fuorionda tra il ministro Graziano Delrio e il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Il leader degli industriali dice al ministro che molti governatori remano contro il governo sul fronte del no al referendum costituzionale. Delrio allora chiede a Boccia se abbia sentore di questa virata anche da parte di Crocetta. «No, Crocetta non è venuto», risponde Boccia: il riferimento è all’assemblea dei giovani di Confindustria. Ed eccola lì, la stilettata di Delrio: «Crocetta – si sente nel fuorionda – non ce la fa a esprimersi per il no. Non si esprimerà per il sì ma rimarrà coperto fino all’ultimo. A parte il fatto che non sposta neanche i voti dei suoi».
Presidente, il fuorionda tra Boccia e Delrio lo considera davvero solo un pettegolezzo?
«Sinceramente la cosa mi ha fatto sorridere, sono gli atti che parlano per me, non ci sono dubbi sulla mia campagna in favore del sì. E dico con estrema sincerità che vale molto, perché ho avuto le mie perplessità su questa riforma, soprattutto sulla nuova legge elettorale. Ma le rassicurazioni che sono arrivate da parte di Renzi rispetto alla modifica dell’Italicum mi hanno convinto, perché non credo che cambierà opinione, è una questione di responsabilità. Quello che mi preoccupa è invece il blocco del processo riformista che avverrebbe in caso di vittoria del no».
Anche lei sostiene la tesi dell’effetto Brexit?
«Sì, credo che nel nostro Paese ci sia realmente la necessità di velocizzare i processi di elaborazione delle leggi e non ritengo eccessive le preoccupazioni di chi teme un effetto Brexit in caso di vittoria del fronte opposto. In ogni caso il tema di maggiore urgenza sono convinto sia questo, più che il risparmio sui costi della politica, che comunque resta necessario».
Non è una risposta studiata ad hoc alla luce del voto del Pd sulla legge di riduzione delle indennità parlamentari targata Cinquestelle?
«No, l’ho sempre pensato che non possa passare tutto in funzione dei costi della politica. La proposta votata a Montecitorio era demagogica e scriteriata. La necessità di ridurre i costi è indubbia, ma come si fa a dire che vogliamo risparmiare sui costi della politica se poi un burocrate guadagna 200mila euro l’anno?»
Qual è la ricetta giusta per ridurre i costi?
«Con quella norma ci sarebbero stati consiglieri comunali con indennità maggiori di un parlamentare. È un tema che non si può certo trattare in quel modo. O guardiamo a un assetto globale, oppure si fa solo demagogia. Invece bisogna affrontare la questione anche immaginando che tipo di parlamento vogliamo: se un dirigente prende 240mila euro annui, in parlamento non ci andrà mai. Quella grillina è un’ipotesi che trasforma il parlamento in un ufficio per funzionari di partito, che non hanno né arte né parte».
Tornando alla riforma costituzionale, i sostenitori del no in Sicilia affermano che verrebbe ridimensionata l’autonomia regionale.
«Io credo che l’autonomia regione sia abbastanza protetta. E poi bisogna vedere cosa intendono gli altri per autonomia. Io mi considero un autonomista democratico, mi sono candidato da autonomista per riformare l’autonomia, perché la Sicilia deve smetterla di stare col piattino in mano in attesa degli aiuti da Roma. In questi anni ho tagliato tre miliardi di euro di sprechi. Ovviamente questo non aumenta i consensi nel breve periodo, ma è stato fatto per il bene della Regione. Ho tagliato i privilegi di tutti, non ho guardato in faccia nessuno. Anche sul fronte dell’Ars, nelle indennità dei parlamentari. Il mio stipendio, poi, è più basso degli inquilini di sala d’Ercole, siamo ben lontani dai titoloni sullo stipendio di Crocetta maggiore di quello di Obama. Tutto questo per un carico di lavoro, consentitemelo, superiore a quello di un ministro. Perché fare il presidente della Regione Siciliana non equivale certo a governare la Val D’Aosta. Adesso il mio obiettivo è presentare il prossimo bilancio in pareggio, per scacciare via una volta per tutte quella pessima reputazione che la Regione aveva sul piano contabile».
Dopo il siparietto con Boccia ha avuto modo di parlare con Delrio?
«Sì, ci siamo sentiti. Ed era molto dispiaciuto, mi ha chiesto scusa. Nel fuorionda col presidente di Confindustria si metteva in dubbio la mia campagna in favore del sì e non capisco sinceramente in virtù di quali elementi. Poi è chiaro che le questioni sociali alla base del no vanno affrontate, per questo sottolineo ancora una volta che il mio voto vale doppio, perché potenzialmente potevo essere schierato per il no».
In quel fuorionda si parla anche della sua assenza all’assemblea dei giovani di Confindustria.
«A Capri non mi sono presentato perché c’era Renzi in Sicilia per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Ateneo di Palermo. La sera abbiamo firmato il Patto per Messina e siamo intervenuti a una manifestazione referendaria nella città sullo Stretto. In più ho controllato, avevo anche mandato una mail scusandomi per la mia assenza e motivandola, appunto, per la presenza del premier in Sicilia».
Delrio, però, ha sostenuto che lei non sposta nemmeno i voti dei suoi.
«Perché sa bene che i miei sono molto vicini al sì, per cui non ho dovuto spostare un bel niente tra i miei. Il mio movimento, il Megafono, è da sempre liberaldemocratico, è indubbio il suo schieramento sul fronte del sì. Aggiungo anche che io e Lumia siamo tra i pochi dirigenti politici che organizzano manifestazioni in proprio, senza accodarsi ai renziani o alle iniziative organizzate da altri».
Insomma, tutto chiarito?
«È chiaro che sono amareggiato, perché non c’è di peggio che vedersi attribuire posizioni che non sono le proprie. Io ero molto perplesso, mi preoccupava e mi preoccupa ancora l’Italicum, una legge che vedo rischiosa per gli equilibri del Paese. Per questo il mio voto ha più valore: io sto chiedendo di votare sì a chi aveva le mie stesse perplessità. E questo, sinceramente, è un attestato di stima che deve avere un peso, perché non arriva certo da un ruffiano».