Marsili, nel mar Tirreno il più grande vulcano d’Europa Sorvegliato speciale dai ricercatori per rischio tsunami

Chi immagina che il fondo del Mar Tirreno sia una monotona superficie pianeggiante si sbaglia di grosso. Se avessimo la possibilità di fare un giro negli abissi al largo dell’arcipelago delle Eolie, a circa 3000-3500 metri di profondità, vedremmo, infatti, come le sette isole tanto note e amate dai turisti di tutto il mondo non sono da sole: allo stesso arcipelago appartengono diverse altre isole vulcaniche sommerse, una delle quali occupa una superficie addirittura maggiore di quella dell’Etna. Si tratta del Marsili che, con i suoi 70 chilometri di lunghezza, 30 di larghezza e i tremila metri d’altezza è il più grande vulcano d’Europa

Molti di noi ignorano del tutto la sua esistenza poiché si trova lontano da ogni sguardo a circa 500 metri di profondità sotto il livello del mare, ma per i ricercatori del CNR e di diversi altri enti di ricerca nazionali il Marsili è un vero e proprio sorvegliato speciale. Le informazioni che si possiedono sul suo conto derivano dalle cosiddette campagne oceanografiche (missioni di esplorazione a bordo di navi attrezzate per l’acquisizione di parametri geofisici e per il prelievo di campioni di roccia).

Quello che le missioni degli ultimi anni hanno rilevato ha smentito l’ipotesi iniziale che vedeva l’attività del Marsili cessata circa centomila anni fa. Il Marsili infatti ha dato segnali di attività molto più recenti, tra i cinquemila e i tremila anni (date che possono sembrare a noi molto lontane, ma che in realtà in scala geologica sono vicinissime) e quindi risulta doveroso un costante monitoraggio della sua attività per prevedere e scongiurare qualsiasi rischio ad essa associato.

Sulla sua potenziale pericolosità si discute da molto poiché è ben nota la sua attività sismica e idrotermale legata ad eventi di fratturazione superficiale che indeboliscono costantemente i fianchi dell’edificio vulcanico causando una situazione di elevata instabilità. Ciò che più preoccupa i ricercatori comunque non è tanto il rischio di un’eruzione vulcanica in sé il cui effetto sarebbe, in qualche modo, smorzato dal peso della colonna d’acqua sovrastante, quanto piuttosto gli eventuali crolli di materiale proveniente dai fianchi del vulcano e dovuti alla spinta del magma al suo interno. In questa eventualità il distacco di una porzione di parete potrebbe spostare una considerevole massa d’acqua e dare quindi origine a un maremoto sulle coste tirreniche meridionali, sulle sue isole minori e sulla Sicilia settentrionale (uno scenario simile si è verificato il 30 dicembre 2002 a Stromboli).

Il popolo del web non ha perso occasione per costruire scenari uno più catastrofico dell’altro e in rete si trova davvero di tutto sull’argomento. I geologi dell’ISMAR-CNR però mantengono una certa cautela nei confronti di eccessivi allarmismi poiché, sebbene un evento di maremoto non possa essere escluso, dai dati in loro possesso le dimensioni dei crolli non sarebbero tali da far presagire un reale pericolo, almeno per il momento

Resta di certo il problema enorme dell’impossibilità di una previsione dei potenziali rischi associati all’attività del Marsili per via della mancanza di dati quantitativi sufficienti per creare un modello su base statistica dei possibili scenari futuri. In altre parole la scienza ha a disposizione troppo poche informazioni sulla storia eruttiva del Marsili, a differenza di come accade per altri vulcani che, grazie alla loro frequente attività, forniscono continuamente informazioni sul proprio comportamento. Nel caso del Marsili, invece, sono più i tasselli che mancano rispetto alle informazioni a disposizione e ciò contribuisce a creare uno scenario di estrema incertezza. Da ciò consegue l’urgente necessità di implementare un’efficace e più possibile completa rete di monitoraggio capace di valutare la pericolosità connessa all’instabilità di questo enorme e misterioso vulcano.


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