L'associazione pubblica il report sulle principali inchieste giudiziarie. Ampio spazio a quelle che interessano l'isola: dall'ultima che coinvolge Augusta fino a quelle su Gela, Pozzallo, Milazzo e Priolo. «La corruzione è dovuta alla sproporzione tra la forza contrattuale degli operatori economici e la debolezza dei territori»
Sporco Petrolio, l’ultimo rapporto di Legambiente Tutte le indagini sulle industrie Oil&gas in Sicilia
Comincia con una citazione di Pier Paolo Pasolini l’ultimo dossier di Legambiente, Sporco Petrolio. Proprio quel Petrolio, il famoso romanzo incompiuto che probabilmente costò la vita al celebre intellettuale italiano, e che Pasolini definiva «potere silenzioso ma non per questo meno prepotente, anzi!». In 16 pagine l’associazione ambientalista prende in esame le principali inchieste giudiziarie che hanno visto coinvolta l’industria oil&gas negli ultimi due anni e mezzo.
«L’alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi – si legge – è dovuta principalmente alla sproporzione tra la forza contrattuale ed economica messa in campo dagli operatori economici titolari e/o gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove questi impianti insistono concretamente». Un racconto che inevitabilmente comincia col caso del centro Oli di Viggiano e del Tempa Rossa di Total. Allo stesso tempo un’ampia porzione del dossier ambientalista è dedicata alla Sicilia. A partire proprio dall’ultimissimo procedimento giudiziario che dalla Basilicata è arrivato ad interessare il porto di Augusta attraverso gli accertamenti che si sono estesi al sistema degli appalti e delle concessioni e che vede tra gli indagati il capo di Stato maggiore della marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi. «In particolare gli inquirenti – scrive Legambiente – stanno passando ai raggi x una concessione per un pontile militare (costruito e prevalentemente utilizzato da una grande azienda petrolchimica)».
Dal Siracusano si passa poi al Ragusano. Un caso esemplare, così lo definisce Legambiente, quello della piattaforma Vega A di proprietà della Edison. Un caso che si trascina dal 1989, al largo delle coste di Pozzallo, con un procedimento giudiziario che, visti i tempi, potrebbe finire in prescrizione. È di qualche giorno fa il rapporto dell’Ispra che documenta «l’immissione in un pozzo sterile, denominato V6, di acque di strato e di rifiuti derivanti dal lavaggio delle cisterne e dalla sentina della nave denominata Vega Oil utilizzata come serbatoio galleggiante (FSO)». La troupe di Italian Offshore, sempre nei giorni scorsi, ha sottolineato un’ambigua condotta che per Legambiente costituisce un «ulteriore paradosso». Ovvero «il fatto che il ministero dell’Ambiente da un lato si sia costituito parte civile, avanzando la richiesta di risarcimento dei danni, dall’altro abbia autorizzato la realizzazione di una seconda piattaforma di trivellazione, denominata Vega B».
Tornando invece al triangolo industriale siracusano Augusta-Priolo-Melilli, Legambiente fa notare l’esistenza di 13 fascicoli per una lunga lista di reati ambientali e spesso collegati alla recente legge 68/2015 sui cosiddetti ecoreati. Un estremo tentativo, secondo gli ambientalisti, «per fare luce su decenni di inquinamenti industriali consumati sull’altare della lavorazione del greggio». Con una particolare attenzione per l’area archeologica della penisola di Thapsos, fra i siti più suggestivi dell’Isola, e dove la stessa Legambiente ricorda alcuni casi di sversamenti di idrocarburi. Senza dimenticare la richiesta di 22 rinvii a giudizio per disastro ambientale recentemente depositata a Gela da parte della locale Procura. Un’indagine particolarmente lunga e complessa, come raccontato a Meridionews dalla procuratrice Lucia Lotti.
Legambiente cita anche i fattori di rischio come la rete di oleodotti «mal funzionanti e insicuri, alcuni addirittura dismessi e oggi in balia di ruggine e degrado», che collegano gli ex tre poli petrolchimici siciliani, cioè Siracusa, Gela e Milazzo. La cittadina messinese, oggi sede di una raffineria in manutenzione che vuol dire soprattutto commesse di lavoro per il mondo della metalmeccanica, è stata oggetto di emissioni sospette ed incidenti. Uno degli ultimi in ordine di tempo risale al settembre 2014, «quando uno dei serbatoi (designato col numero 513) contenente virgin nafta – annota Legambiente – è andato in fiamme inondando per giorni l’intera Valle del Mela di un fumo denso e acre». Un episodio sul quale è in corso un’indagine e che non esaurisce l’attività della procura di Barcellona Pozzo di Gotto sugli impianti industriali di Milazzo. Sono 20, infatti, gli «avvisi di conclusione delle indagini per omicidio colposo e lesioni colpose nell’ambito dell’inchiesta legata alla morte di sette operai che avevano lavorato nella stessa raffineria».