La mappa della nuova gestione dei rifiuti in Sicilia: 46 nuovi siti, due termovalorizzatori e discariche quintuplicate

Risolvere un problema (dove mettere tutta questa munnizza). Risparmiare (evitando di portare i rifiuti fuori regione). E, se possibile, guadagnarci pure (producendo energia e combustibili vari). Sembrano essere questi i tre princìpi ispiratori del nuovo piano di gestione dei rifiuti approvato dal presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in qualità di commissario straordinario. Tre obiettivi a cui viene offerta una sola soluzione di base: aumentare gli impianti di vario genere, ampliando gli esistenti – come le discariche – e creandone di nuovi. Compresi i due nuovi termovalorizzatori. Il tutto soprattutto al fine di produrre energia – più grigia che verde – in ogni passaggio e, tra le altre cose, «garantire una riduzione dei costi per gli utenti regionali e renderli più omogenei». Un piano in cui, però, a farla da padrone non sembra essere l’aspetto ambientale, almeno secondo alcuni sindaci, sindacati, associazioni ambientaliste, dei consumatori e di volontariato riuniti nel comitato Rete Sicilia Pulita e dati appuntamento per oggi alle 10 davanti Palazzo d’Orleans, a Palermo. Minacciando di impugnare la delibera di approvazione di un piano che, scrivono dal Comitato, «favorisce gli affari di pochi a danno della salute di tutti».

L’indifferenza per la differenziata in Sicilia

Vetro, plastica, cellulosa e metalli. Non sono loro il problema dell’Isola. Tanto che, nel piano, alla corretta raccolta differenziata sembra essere dedicato poco spazio e qualche buon sentimento: dall’allungare la vita degli oggetti al sensibilizzare, passando per la generica implementazione di piattaforme di recupero gestite dai consorzi di filiera o da altre società. Alcune già esistenti, altre da costruire. Pur tenendo presente l’obiettivo europeo del 65 per cento di differenziata entro il 2035, con un massimo del 10 per cento di rifiuti da conferire in discarica. Percentuali da cui la Sicilia è ancora ben lontana, con il suo 51,5 per cento di riciclo, imputabile soprattutto alle città più grandi e sporcaccione: Palermo e Catania. Ad ogni modo, il vero problema affrontato dal piano – e vissuto finora in Sicilia – è piuttosto cosa fare di quello che riciclabile non è: e soprattutto di quel 25 per cento che resterebbe fuori dalla differenziata e non sarebbe possibile far finire in discarica. Composto non solo dalla raccolta indifferenziata in sé, ma anche dagli scarti del riciclo e dall’organico. Un problema per cui è previsto un apposito percorso fatto anche di nuove strutture, che sorgeranno preferibilmente vicino ai siti già impegnati nel trattamento dei rifiuti – eccetto che per le vaste zone al momento scoperte – e a «una distanza minima di tre chilometri dai centri urbani», intesi come raggruppamenti di almeno 25 fabbricati e aree pubbliche. Regole valide anche per gli impianti esistenti – da rivedere – e per i loro progetti di ampliamento.

Recuperare il recuperabile: le nuove piattaforme

Piattaforme di recupero e raffinazione. Sembra essere una definizione creata proprio dalla Regione siciliana quella che descrive le nuove strutture previste dal piano di gestione dei rifiuti. Undici nuovi siti, tutti pubblici, che andranno ad aggiungersi agli otto impianti di Tmb (trattamento meccanico-biologico) esistenti e a sostituire le cinque strutture già pubbliche tra queste, che saranno aggiornate alla nuova tecnologia. Si tratta di piattaforme intermedie, che non si limiteranno – come avviene finora nei Tmb – a trattare l’indifferenziato per ridurlo in massa e volume. L’idea della Regione è quella di effettuare una selezione – manuale o meccanica – per scovare nei rifiuti urbani una parte di materiali ancora recuperabili, seppur meno nobili: sacchetti e alcuni tipi di plastica, carta e cartone, stoffe, legno, scarti alimentari o sfalci verdi. Che, se trattati adeguatamente, produrrebbero il Css (Combustibile Solido Secondario), destinato ad alimentare «le attività industriali siciliane particolarmente energivore, al posto del combustibile fossile». Prevedendo anche, nelle buone intenzioni, degli incentivi economici per la conversione degli impianti. I nuovi centri sorgeranno in tutte le aree finora scoperte. A Trapani e a Castelvetrano; a Castellana Sicula e a Corleone per il Palermitano; a Sciacca e a Ravanusa nell’Agrigentino; a Melilli per l’area del Siracusano; a Catania, ma anche a Randazzo e a Grammichele; e a Mazzarrà Sant’Andrea per il Messinese.

Il biogas: il futuro dei rifiuti organici dell’Isola

Una volta recuperato il recuperabile da una prima scrematura, il passo successivo della strategia regionale si concentra sull’organico. Puntando ad aumentare due tipi di strutture già esistenti: gli impianti di compostaggio e i biodigestori. Nel primo caso, i 14 nuovi siti individuati – da aggiungere ai 17 esistenti – coinvolgono anche tre isole minori: Lampedusa, Lipari e Pantelleria. E in particolar modo il Trapanese, con ben cinque nuovi impianti di compostaggio: a Trapani, a Calatafimi-Segesta, a Custonaci, a Marsala e a Castelvetrano. Uno ciascuno, invece, sorgeranno a Catania, nel Palermitano (a Terrasini), nel Ragusano (a Vittoria) e nel Siracusano (a Melilli). Due, infine, sono previsti in provincia di Caltanissetta (a Santa Caterina Villarmosa e a Serradifalco). Ma dal rifiuto organico è possibile produrre anche qualcosa di più redditizio del classico compost.

Si tratta del biogas, ossia il combustibile prodotto da una diversa fermentazione dell’organico, a cui la Regione punta, passando da 4 strutture esistenti a 24 biodigestori previsti, di cui 11 pubblici. Dei nuovi impianti, uno sarà a Enna e due a Ragusa città. Nell’Agrigentino sorgeranno a Casteltermini, a Ravanusa, ad Aragona e a Montallegro. In provincia di Caltanissetta, a San Cataldo. A Catania città e, in provincia, a Biancavilla e a Paternò. Nel Messinese, a Mili, a Mazzarà Sant’Andrea, a Monforte San Giorgio, a San Filippo del Mela. Tre sono invece previsti nel Palermitano: a Palermo città, a Castellana Sicula e a Corleone. Mentre nel Siracusano sorgeranno a Noto e a Priolo.

La vecchia novità: i due termovalorizzatori

A far discutere è soprattutto la decisione, dopo anni di polemiche, di creare in quattro anni due impianti di combustione dei rifiuti, da cui ricavare energia, finanziati con fondi dell’Unione europea. Uno a Palermo e uno a Catania, i due termovalorizzatori pensati dalla Regione saranno capaci di trattare 600mila tonnellate di rifiuti all’anno in totale. Una cifra che dovrebbe essere proporzionata ai volumi siciliani, se si considera che un cittadino produce in media 1,4 chili di spazzatura al giorno e che in un termovalorizzatore potrebbe finire – secondo il target del 2035 – il 20 per cento dei rifiuti totali. Scongiurando così il rischio di dover importare l’immondizia da fuori regione per giustificare l’esistenza dei due termovalorizzatori. Meno sicuro, invece, è il calcolo sulla quantità di energia che i due impianti produrranno.

Secondo il piano, infatti, i termovalorizzatori avranno una potenza elettrica totale di 50 megawatt, il cui 30 per cento verrà destinato al funzionamento del sito stesso e la restante parte sarà invece venduta. In assenza di un dato in megawattora, è difficile quantificare la reale energia che sarà prodotta. Ma, con una stima verosimile, gli impianti potrebbero arrivare a produrre energia per una città come Siracusa. Energia che, però, non rientrerebbe in un altro obiettivo europeo: quello di decarbonizzazione, rendendo «probabile – si legge nello stesso piano regionale – che i termovalorizzatori saranno soggetti alla tassa sulle emissioni di anidride carbonica stimata in 100 euro ogni tonnellata di rifiuti».

Destinazione finale: le discariche (tra cui una nuova)

Dalle piattaforme di recupero ai termovalorizzatori, in ogni passaggio del nuovo piano siciliano di gestione dei rifiuti l’obiettivo chiaro sembra essere la produzione di energia. Seppure non proprio pulita e al passo con i tempi. Da utilizzare per l’autosostentamento o, se avanza, da rivendere (o far rivendere ai privati gestori degli impianti). Non tutto, però, della spazzatura urbana siciliana potrà essere riutilizzato, fermentato o bruciato. È così che i rifiuti non valorizzabili e gli scarti degli scarti – in totale, comunque, meno del 10 per cento entro il 2035 – dovranno finire in discarica. Una percentuale decisamente maggiore oggi e finché non saranno pronti gli inceneritori, nel 2028. Per questo, si legge nel piano, la Regione ha deciso non solo di creare un nuovo sito di abbancamento dei rifiuti – a Pachino, nel Siracusano – da aggiungere ai 13 già esistenti. Ma, soprattutto, di prevedere l’ampliamento delle discariche: da 2 milioni a quasi 9,5 milioni di metri cubi. Un aumento di quasi il 500 per cento, che dev’essere sfuggito al presidente della Regione, Renato Schifani, quando – nel presentare l’approvazione del piano – ha commentato: «Da domani si passa alla fase concreta: progettazione, realizzazione, gestione. Chiusura delle discariche».


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