L'inquinamento delle falde acquifere ricollegabile al lago di percolato fuoriuscito da Bellolampo sarebbe per i pm direttamente da imputare alla condotta dell'ex sindaco di Palermo e ad altri dieci dirigenti che si sono alternati tra il 2001 e il 2010 all'Amia
Disastro ambientale, processo a Cammarata I pm chiedono la condanna a 5 anni e mezzo
Cinque anni e sei mesi per Diego Cammarata e per Gaetano Lo Cicero, ex liquidatore dell’Amia. L’inquinamento delle falde acquifere, contaminate dal percolato fuoriuscito da Bellolampo, secondo i pm Geri Ferrara e Maria Teresa Maligno, che hanno formulato le richieste di condanna, sarebbe un disastro ambientale direttamente da imputare alla condotta dell’ex sindaco di Palermo e ad altri dieci dirigenti che si sono alternati tra il 2001 e il 2010 all’Amia.
A fare scattare le indagini della procura, nel maggio di sei anni fa, erano stati gli esiti delle analisi effettuate sull’acqua di alcuni pozzi nei pressi della discarica, in cui si riscontrava la presenza di nitrati, solfiti e metalli. Responsabile della contaminazione il lago di percolato, il liquame altamente inquinante rilasciato dai rifiuti al macero, che si era venuto a creare in quel periodo a Bellolampo nei pressi della quarta vasca. Un lago che in alcuni punti raggiungeva una profondità di tre metri e che si era espanso tanto da minacciare il torrente Celona, che scorre più a valle. Tra i reati contestati agli imputati, oltre al disastro doloso, all’avvelenamento delle acque e l’inquinamento del sottosuolo, anche il traffico illecito di rifiuti pericolosi e la gestione illegale della discarica.
Ferrara e Maligno hanno inoltre chiesto la condanna a cinque anni per l’ex presidente del Cda dell’azienda, Vincenzo Galioto e per Orazio Colimberti, ex direttore generale. Tre anni e sei mesi per Nicolò Gervasi e quattro anni per Pasquale Fadella, anche loro ex direttori generali. Quattro anni sono stati chiesti anche per per gli ex direttori del dipartimento Impianti, Antonino Putrone e Fabrizio Leone, tre anni e sei mesi per Aldo Serraino, mentre per i funzionari Luigi Graffagnino e Mario Palazzo sono stati chiesti rispettivamente quattro anni e tre anni e sei mesi. A carico di Cammarata e Lo Cicero, inoltre, pesa anche un’accusa di abuso d’ufficio per il licenziamento nel 2009 di Giovanni Gucciardo, allora direttore di Bellolampo, che nelle intercettazioni delle telefonate tra i due era definito «poco flessibile». L’ipotesi è che sia stato rimosso per l’eccessiva attenzione nel volere applicare le regole.