Sono bastati 12 giorni di riprese video per scoprire la certosina organizzazione di un gruppo di lavoratori comunali. Sotto indagine ce ne sono 62. Che si davano i turni per timbrarsi i tesserini a vicenda, in modo da non presentarsi a lavoro. Un danno «intollerabile», dice il procuratore Michelangelo Patanè
Acireale, arrestati tre dipendenti del Comune Accusa di assenteismo. «Dirigenti dov’erano?»
Un’organizzazione perfetta per evitare di lavorare. È quanto emerso dall’indagine partita dalle lamentele dei cittadini e durata 12 giorni. Tanto è bastato agli agenti della polizia acese per documentare un lungo elenco di incongruenze con le timbrature dei cartellini dei dipendenti del Comune di Acireale. Diversi plessi coinvolti, tra cui quello in zona San Cosmo, dove lavorano le 12 persone per cui è stato disposto l’obbligo di firma e tre finite ai domiciliari. Le telecamere dei poliziotti li hanno ripresi mentre timbravano diversi tesserini, facendo risultare presenti in ufficio lavoratori che, invece, erano altrove. Un danno erariale «intollerabile» secondo il procuratore capo Michelangelo Patanè, che ha coordinato le indagini dei magistrati Pasquale Pacifico e Marco Bisogni. A essere coinvolti sarebbero gli uffici tecnici e quelli che si occupano di urbanistica, affari istituzionali, servizi sociali, ambiente e pubblica istruzione. «Perché dirigenti e funzionari non si sono mai accorti di niente?», domanda il reggente della procura etnea.
Le indagini sono ancora in corso, e i ruoli dei dipendenti comunali sono stati differenziati. In totale sono 62 gli indagati, ma le posizioni di tre di loro sono ritenute le più gravi. Si tratta di Venera Lizio (ufficio notifiche, classe 1971), Orazio Mammino (ex responsabile dell’ufficio tributi, classe 1967) e Mario Primavera (ufficio lavori pubblici, classe 1957). Quest’ultimo sarebbe il lavoratore che ha oscurato la telecamera delle forze dell’ordine nel momento in cui se n’è accorto, ponendo fine alle indagini video. I 12 che, invece, dovranno presentarsi alla polizia giudiziaria sono Antonio Grasso (classe 1965), Mario Cocilovo (classe 1962), Giuseppe Calvagno (classe 1960), Carmelo Di Bartolo (classe 1956), Carmelo Amore (classe 1968), Pietro Currò (classe 1965), Anna Maria Anastasi (classe 1951), Teresa Messina (classe 1956), Orazio Musmarra (classe 1959), Pietro Valerio (classe 1955), Salvatore e Santo Trovato (rispettivamente classe 1969 e 1959).
«È un argomento caldo in tutt’Italia, e a Catania non siamo rimasti a guardare», sottolinea il procuratore Patanè. È recente, infatti, il caso del lavoratore di Sanremo ripreso dalle telecamere mentre timbrava in mutande, poco prima di tornare nella sua abitazione vicina all’ufficio. «Non abbiamo verificato cosa andassero affare invece che lavorare, non era rilevante ai fini dell’indagine – interviene Pasquale Pacifico – Ciò che contestiamo in alcuni casi è la truffa aggravata». Oltre che la fittizia attestazione di essere sul posto di lavoro. Reati per i quali si rischiano fino a cinque anni di carcere. Non ci sono abbastanza prove, tuttavia, per poter sostenere l’associazione a delinquere. Sebbene, per evitare di doversi presentare in ufficio, fosse stata messa in piedi un’organizzazione perfetta. Un sacco di lavoro per non lavorare. Secondo quanto emerso dalle indagini, i lavoratori si davano dei turni: un giorno timbrava uno, il successivo un altro, quello dopo un altro ancora.
Ma c’è anche chi, nei giorni di riprese video, in ufficio non c’è mai entrato. Pur essendo iscritto normalmente nel registro delle presenze. Altri invece, in base alle necessità, arrivavano con ore di ritardo o uscivano con ore di anticipo. In diverse circostanze, poi, il numero delle ore lavorate era inferiore alla metà di quelle previste dal contratto. Le registrazioni hanno come data di inizio il 26 febbraio 2015 e si sono concluse il 13 marzo 2015. Giorno in cui il 59enne Mario Primavera, ex vigile urbano, si sarebbe accorto della telecamera – «nonostante fosse ben occultata», scrive la procura – e l’avrebbe danneggiata, rendendola inutilizzabile. Un impegno che non è servito a evitare l’arresto.