La storia della mancata accensione dell'impianto di Niscemi si arricchisce di nuovi retroscena. Il 13 gennaio, il collegio dei verificatori ha annunciato la decisione di non effettuare le verifiche sul campo, perché non c'è più il tempo per tarare gli strumenti dell'Arpa, che si difende: «Tempi ridotti e mancanza di soldi»
Muos, non ci sarà nessuna misurazione Valutazione dei rischi si baserà sui dati Usa
A dire se il Muos è pericoloso saranno gli americani. Rischia di concludersi con un paradosso la storia delle misurazioni delle onde elettromagnetiche nell’impianto satellitare di Niscemi. Dopo l’improvvisa sospensione dei test previsti per il 13 e 14 gennaio – decisa dalla Prefettura di Caltanissetta a causa dell’impossibilità di stabilire quali misure precauzionali prendere a tutela della popolazione -, l’ultima novità riguarda la decisione del collegio dei verificatori di basare le valutazioni esclusivamente sui dati forniti dall’ambasciata statunitense, come segnalato ieri dal Tg valle Susa.
L’equipe – nominata a novembre dal Consiglio di giustizia amministrativa, con l’obiettivo di stabilire le conseguenze per la salute che deriverebbero dall’accensione delle tre parabole, unite alle 46 antenne della base Usa – ha giustificato la scelta con i ritardi nel reperimento della strumentazione necessaria all’Arpa per effettuare le misurazioni. Vanificando così di fatto il proprio stesso compito. Ai cinque componenti – due scienziati e tre referenti dei ministeri Ambiente, Salute e Infrastrutture – è stato dato infatti il mandato di eseguire, in modo autonomo e per conto della giustizia italiana, delle rilevazioni sul campo. Ma così non sarà, almeno per il momento. A confermarlo è una lettera inviata il 13 gennaio dalla presidente del collegio, la professoressa Maria Sabrina Sarto, al Cga.
«Arpa Sicilia – si legge – ha comunicato al collegio di verificazione che alcune delle strumentazioni necessarie per lo svolgimento delle misure sono state inviate per taratura alla ditta e che i tempi necessari sono almeno di 15 giorni. Questa circostanza – prosegue Sarto – rende impossibile la programmazione di una nuova data per lo svolgimento delle misure entro il termine previsto». Il termine citato dalla presidente è quello del 26 gennaio, data ultima per presentare i dati richiesti. Non ci sarà dunque nessuna misurazione sul campo. Attorno ai tempi a disposizione dell’equipe già a dicembre c’era stata una polemica, con l’intervento dell’Avvocatura dello Stato che, per conto del ministero della Difesa, in due occasioni aveva sottolineato l’esigenza di completare l’iter nel minor tempo possibile. Adducendo come motivazione anche il rischio terrorismo.
Intanto, chi non ci sta a passare per responsabile dell’intoppo è proprio l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente: «I tempi che ci sono stati dati sono stati strettissimi – dichiara Antonio Sansone Santamaria del dipartimento Arpa Palermo -. Alcuni strumenti siamo riusciti a tararli entro fine dicembre, altri invece no, anche a causa delle ferie natalizie. Quando abbiamo conosciuto la data delle misurazioni – continua – non potevamo inviare alcuno strumento. Perché la prima data utile per poterli spedirli alla ditta era il 7 gennaio, e sarebbe stato impossibile averli indietro in meno di una settimana». Inoltre, nonostante si tratti di strumentazione che l’Arpa utilizza di norma, l’agenzia non avrebbe avuto possibilità di renderli funzionali in breve tempo: «Sono strumenti che servono anche per altre attività – ammette Sansone Santamaria -, ma l’anno scorso non è stato possibile tararli perché i fondi ad Arpa Sicilia sono arrivati soltanto a fine anno».
Come detto, quindi, il lavoro del collegio si fonderà sulle informazioni trasmesse dal governo statunitense: «[Si] completerà nei tempi previsti la stesura della relazione di verificazione, unicamente sulla base dell’analisi dei dati attualmente disponibili», scrive Sarto al Cga, riferendosi a quanto ricevuto il 12 gennaio dall’ambasciata americana. Ciò significa che, con molta probabilità, per stabilire la pericolosità del Muos non si faranno prove sul campo ma si guarderà alle proiezioni inserite nel progetto dell’impianto: «Mi sembra di vivere un deja-vu – commenta Massimo Coraddu del Politecnico di Torino e consulente di parte del comitato No Muos -. Già nel 2013 ci siamo trovati a ragionare su dati progettuali che erano stati riveduti al ribasso rispetto a quelli presentati dalle autorità americane nel 2008. Mi chiedo quale credibilità possano avere queste valutazioni». Per Coraddu, però, è l’intera vicenda della nomina del collegio dei verificatori a essere discutibile: «È stato chiesto di raggiungere risultati impossibili rispetto al tempo messo a disposizione».